Le scuole cominciano dalle nostre parti a metà settembre, non tra molto quindi, e quest’anno a Varese ce ne saranno due senza le prime classi. Alla “Foscolo” di Bosto, con una comunicazione last minute, e alla “Garibaldi” del quartiere Ungheria, come già annunciato da tempo. I genitori protestano dicendo che “i bambini non sono numeri”, ma se si trattasse di un albergo o un ristorante, si direbbe sconsolatamente: “chiusura per mancanza di clienti”. Chi ha avuto la pazienza di seguirci su queste pagine, in cui ripetutamente abbiamo dato evidenza del calo demografico da decenni in corso, non dovrebbe stupirsene. Ma forse non è l’unica causa.
Torniamo indietro per provare capire qualcosa di più e sia concesso il ricordo personale. Era il 1° ottobre 1957 – tre giorni dopo sarebbe partito lo Sputnik, il primo satellite – quando lo scrivente metteva il grembiulino per il suo primissimo giorno di scuola. La novità per il “remigino” abitante sul viale Borri era che non avrei dovuto andare alla scuola di Bizzozero, ma alla nuovissima “Garibaldi”, all’”Ungheria” che apriva i battenti. Il nome del quartiere era già un programma e non c’entrava con l’occupazione di Budapest da parte dei carri armati sovietici l’anno prima. Era piuttosto un nome sorto vox populi per indicare qualcosa di “lontano”, un po’ ”estraneo”. Secondo alcune letture sarebbe invece la corruzione di “Longaria” o “Lunga Via”. Erano gli anni di forte crescita per la città e di conseguenza per una nuova edilizia: il programma nazionale INA Casa, voluto dal potente ministro Dc Amintore Fanfani, aveva appena fatto sorgere un quartiere di grossi caseggiati e lì nacque la scuola, per volontà di un’amministrazione comunale che doveva fronteggiare un autentico boom demografico. Per dare un’idea, gli abitanti di una Varese che volava sarebbero cresciuti negli anni ’50 del 26,1%, da 53 mila a 67 mila, e negli anni 60 ancora del 24,3%. Ovvia la pressione anche sulle scuole, prima le elementari e in seguito le medie.
Pochi mesi dopo, la mia famiglia si spostò verso zone più centrali, anche perché mio padre faceva turni talvolta ad ora tarda al telegrafo (ve lo ricordate?). Andammo in via San Pedrino e c’era da scegliere a quale scuola mandare il pargolo. Tra quella la Foscolo a Bosto, cui lo “stradario” mi avrebbe indirizzato, e la Parini a Giubiano, venne scelta la seconda. A quel tempo, in quasi ogni caseggiato c’era almeno un bambino alle elementari e quasi tutti nella strada avevano optato per Giubiano. La Parini era considerata più grande e meno isolata dal resto della città, su una strada più bella e fino alla seconda elementare c’erano le mamme che a turno aiutavano gli scolaretti ad attraversare la via Magenta nei punti previsti, mentre dalla terza in poi farsi accompagnare sarebbe stata un’onta.
Fu un trauma per me lasciare la “nuova” Garibaldi con le sue classi luminose e i banchi chiari di formica, per planare nella scuola affollata ma ancora con i banchi di legno tarlato, ma già allora vinceva la libertà di scelta. Il quadro oggi è cambiato, altre scuole periferiche hanno addirittura chiuso e gli iscritti “valgono oro”.
“Naturalmente sono molto dispiaciuta dell’esito di questa situazione che vede sparire delle prime classi. E’ una diretta conseguenza delle minori nascite, benché ci siano elementi per sperare che nei prossimi anni qualcosa possa cambiare, anche se in parte dipenderà dalle scelte delle famiglie”, dice Rossella Dimaggio, assessore comunale ai Servizi Educativi, una carriera vissuta prima come maestra nelle scuole elementari e poi all’Ufficio Scolastico (l’ex Provveditorato), che RMFonline ha incontrato poco dopo una riunione avvenuta con i rappresentanti dei genitori e con l’Ufficio Scolastico Provinciale. “Purtroppo, di fronte al fatto che ci fossero solo 10 iscrizioni contro il minimo di 15 previsto dal ministero ha tagliato ogni possibilità. Come è noto, il Comune non ha competenze nell’organizzazione scolastica della scuola dell’obbligo, oltre a fornire sedi e servizi connessi, mentre ne ha per nidi e scuole materne, dove il Comune di Varese compie uno sforzo organizzativo e finanziario che ha pochi confronti”. Per il vero, ricorda l’Assessora, il Comune concorre anche nelle attività collaterali delle scuole primarie, che a Varese scarseggiano del tempo pieno curricolare. “Pochi comuni del territorio paragonabili per dimensione hanno un impegno nel doposcuola paragonabile a quello di Varese. Anche perché occorre dare un sostegno concreto soprattutto alle madri che lavorano. Il nostro impegno, nei limiti delle nostre competenze, è anche garantire a tutti gli istituti un adeguato livello di accoglienza e quindi anche attrattività sotto questo profilo”.
Fuori dal politichese, la preoccupazione è di evitare il rischio che la “concorrenza” per attirare le iscrizioni si traduca in squilibri che, alimentati dal “passa parola”, possano portare poi a scuole con eccesso di alunni e altre costrette a tagliare classi e, alla lunga, a mettere a repentaglio la continuità stessa di una scuola.
La nota di “ottimismo condizionato” è nei numeri che riportiamo nel grafico. Come si vede, Varese, al pari di tanti altri capoluoghi, ha registrato un drastico calo di nascita: alla fine dello scorso anno, a fronte dei 750 ragazzi di 18 anni, ce erano infatti 592 di 6 anni, e solo 545 di 5 anni, quindi prossimi “primini”, ma si risale a 582 per i bambini di 4 anni, che saranno in prima classe nel 2026 e per fortuna in questi numeri gli stranieri sono più di cento. Potrebbero esserci quindi le condizioni per una piccola ripresa di iscrizioni, ma se anche così fosse, a livello di singole scuole, dipenderà dalla fiducia e dalle scelte delle famiglie. Quei ricordi del 1957, epoca dei boomers, dicono che se questo ingrediente era importante allora, ancor di più lo è oggi. E nulla è scontato