Cultura

I VALORI DEL MONDO CONTADINO

GIANFRANCO FABI - 18/04/2025

Sono 1.604 (su un totale di 57.450) in provincia di Varese le imprese attive nel settore agricolo, meno del 3% del totale e nel 2024 leggermente al di sotto del livello dell’anno prima (-0,8%). Peraltro si tratta solo in parte delle tradizionali aziende agricole fatte di campi coltivati e di stalle per gli animali da latte. Una significativa quota è costituita da imprese florovivaistiche (la “città giardino” non può non aver bisogno di giardinieri), da agriturismi e attività orticole.

E’ ormai tempo di asparagi e quelli Cantello hanno una fama particolare. Così come è utile ricordare i formaggi caprini della Valcuvia così come le pesche di Monate. Ma l’elenco potrebbe continuare con tante piccole eccellenze anche se il più delle volte su scala ridotta.

Questo per dire che i frutti della terra e degli allevamenti costituiscono ancora uno dei punti rilevanti dell’economia del territorio varesino. Con un’agricoltura che è passata nei secoli dal costituire il principale fondamento della dinamica economica ad un’area più ristretta, ma altamente specializzata.

Il passato agricolo è comunque parte importante della vita pre-industriale: non a caso il settore agricolo viene chiamato “settore primario”.

E’ una memoria che non va dispersa. Nei dintorni di Varese ci sono due musei che tramandano il lavoro e gli stili di vita di una volta. C’è il l Museo della Civiltà Contadina a Curt Granda, nella frazione varesina di Lissago. E c’è il Museo della Cultura Rurale Prealpina a Brinzio, all’interno del Parco Regionale del Campo dei Fiori. Due musei dedicati alla salvaguardia e valorizzazione delle tradizioni rurali offrendo una raccolta di attrezzi, usi e costumi della civiltà contadina del secolo scorso.

Può sembrare fuori moda e fuori tempo parlare in questo momento non tanto e non solo del mondo agricolo, ma anche e soprattutto dell’umanità e dei valori che ancora oggi possono essere una testimonianza concreta e costruttiva.

L’automazione e la meccanizzazione hanno fatto il loro ingresso nella gestione delle attività e l’intelligenza artificiale è ormai un supporto importante per la programmazione e la conduzione delle attività. Ma il rapporto con la natura, il rispetto delle stagioni, l’attenzione alle esigenze della terra e delle piante sono tutti elementi che appartengono a tradizioni che hanno radici lontane nel tempo.

Il passato ha ancora molto da insegnare, anche se i ricordi di chi ha vissuto negli anni dei campi arati con i buoi e delle trebbiatrici spinte a mano, sono anni che passano inevitabilmente sotto il filtro della nostalgia, delle avventure personali, di una memoria condizionata dai grandi cambiamenti vissuti e spesso subiti.

E’ quanto avviene nel libro di Nino Smacchia (“La valle scomparsa”, Ed. Le mezzelane, pagg. 150, € 15), un libro in cui l’autore raccoglie i fogli di diario che hanno accompagnato gli anni della sua adolescenza, anni vissuti con la famiglia in un casolare della campagna marchigiana nel Comune di Acqualagna in provincia di Pesaro e Urbino, prima di trasferirsi per lavorare a Milano.

In queste pagine c’è in fondo lo splendore e l’inevitabile decadenza del vecchio mondo contadino. Lo splendore per il riconoscimento della bellezza della natura e la profonda semplicità dei rapporti umani. La decadenza per il progressivo ed inevitabile abbandono dei vecchi casolari sperduti nella campagna.

E per tanti aspetti la vita in quei casolari era molto simile a quella delle tante cascine che caratterizzavano la campagna e le prealpi varesine. Cascine che in molti casi sono diventate ville o condomini razionalmente ristrutturati, in cui non c’è più il pozzo per l’acqua e neppure le grandi cucine dalle pareti annerite e i focolari attorno ai quali si radunavano le famiglie.