Pensare il Futuro

DOVE STIAMO ANDANDO?

MARIO AGOSTINELLI - 18/04/2025

Fiamme rosso-arancio lampeggianti che pulsano contro il fumo nero fluttuante. Un paesaggio di case ridotte in cenere e macerie contorte. Veicoli trasfigurati in sculture grottesche sparse per le strade. Queste scene potrebbero essere state scattate non a Losa Angeles, ma ad Hiroshima o Nagasaki dopo i bombardamenti atomici della Seconda Guerra Mondiale. Eravamo diventati improvvisamente nell’inverno passato più consapevoli della crescente minaccia degli incendi boschivi per la società, mentre allo stesso tempo ci siamo in gran parte dimenticati delle tempeste di fuoco atomiche dell’ultimo millennio.

Le minacce esistenziali previste poste dal cambiamento climatico sono arrivate sotto forma di uragani intensificati, incendi, siccità e innalzamento dei mari: i recenti incendi in California hanno distrutto circa 16.250 strutture e ne hanno danneggiate circa 2.100; a Pacific Palisades, circa 23.450 acri o circa 95 chilometri quadrati sono bruciati e 12 persone sono morte; l’incendio di Altadena (Eaton) ha consumato circa 14.000 acri o 57 chilometri quadrati, con 17 vittime.

Ma per quanto catastrofici siano stati questi recenti incendi, sono stati molto meno letali del bombardamento atomico di Hiroshima nell’agosto del 1945, quando circa 66.000 persone morirono e 56.000 rimasero gravemente ferite in un’area di circa 20 chilometri quadrati.

Dove stiamo andando? Forse comprensibilmente trascurato in questo momento difficile – quando gli impatti infuocati del cambiamento climatico hanno dominato le notizie nazionali e persino internazionali – è un altro fatto scoraggiante: il mondo vive da quasi 80 anni con l’ardente minaccia esistenziale delle armi nucleari.

Migliaia di questi dispositivi sono montati su sistemi di lancio (anche a Ghedi e Aviano a poca distanza da noi), alcuni pronti per essere lanciati in pochi minuti, tutti in grado di raggiungere i loro obiettivi in frazioni di un’ora. Almeno negli ultimi 60 anni, i principali Stati nucleari sono stati in grado di distruggere la maggior parte della civiltà umana in poche ore.

E anche se l’impatto delle esplosioni e delle radiazioni ionizzanti delle armi nucleari sarebbe catastrofico, le radiazioni termiche e gli effetti del fuoco potrebbero essere veramente esistenziali se venisse iniettato abbastanza fumo nella stratosfera da provocare un “inverno nucleare” che sopprime l’agricoltura in gran parte del mondo.

Nell’agglomerato urbano regionale di Los Angeles, come in molte altre aree sovradimensionate, i tentacoli dello sviluppo si estendono più in profondità ai piedi e nelle valli delle montagne circostanti e verso l’esterno attraverso vaste aree erbose secche e cespugli. Ovunque, le persone stanno spingendo l’interfaccia tra aree selvagge e urbane più lontano dal centro della città, creando megalopoli tentacolari e nuovi pericoli di incendio.

Circa 45 zone urbane in tutto il mondo ospitano una popolazione superiore a 10 milioni, compresa l’area metropolitana di Los Angeles. Il mondo ha assistito alle conseguenze devastanti di un incendio causato dal clima a Los Angeles e dintorni. Ma non abbiamo bisogno di elaborare uno scenario di conflitto dettagliato, o di specificare obiettivi strategici, per renderci conto rapidamente che un’esplosione nucleare in qualsiasi parte della città equivarrebbe a un olocausto.

Si stima che una bomba delle dimensioni di Hiroshima, calibrata a circa 15 kilotoni, uccida o ferisca gravemente almeno 50.000-60.000 persone oltre a fare strame di molti valori sul territorio su cui si abbatte: se questo fosse Los Angeles, così provata dagli incendi, verrebbe sostanzialmente distrutta anche come centro sociale, culturale, finanziario, tecnologico, industriale ed educativo americano.

In definitiva, nelle settimane, nei mesi e negli anni successivi a una grande detonazione nucleare su un’area densamente popolata, gli sforzi per la ripresa e il ritorno alla normalità sarebbero seriamente compromessi e l’infrastruttura di base che supporta le comunità locali andrebbe perduta.

Piuttosto che spingere le nazioni a risolvere i problemi, le armi nucleari sembrano più spesso perpetuare atteggiamenti e belligeranza. Il percorso verso l’abolizione delle armi nucleari come minaccia esistenziale per l’umanità può essere percorso solo da una leadership con la visione, la convinzione e la cautela appropriate. Il pacifismo ritorna come orizzonte concreto in cui collocare l’azione popolare e di massa in un periodo storico in cui le leadership vengono a mancare.