Le questioni ambientali arrivano a bucare l’agenda mediatica e particolarmente quella politica solo in coincidenza d’eventi calamitosi, che rivestano un’importanza straordinaria. Si veda il disinteresse che ha accompagnato nell’opinione pubblica la Conferenza ONU sullo sviluppo sostenibile, tenuta a Rio de Janeiro lo scorso giugno, o quella di Doha, svoltasi tra il 26 novembre e il 7 dicembre 2012.
I risultati si sono confermati ben al di sotto delle aspettative, determinando un ulteriore crollo di fiducia nella soluzione dei problemi a livello globale. Questo anche in relazione al fatto che le élites dei vari Paesi rimangono prigioniere delle lobby economiche. Emergono nuovi attori globali sulla scena, ma non di profilo statuale (vedi le imprese multinazionali). E si sviluppano forme di interazione diverse da quelle dello scontro, mentre acquistano rilievo e peso le reti degli esperti, conquistando per fortuna autonomia rispetto ai committenti.
Certo si assiste a fenomeni preoccupanti, come il surriscaldamento di agosto, con roghi e danni ingenti all’agricoltura e non si tratta solo del caso o di una ciclicità naturale; si hanno scarsità idrica, desertificazione crescente, il ritrarsi dei ghiacciai, l’innalzamento di mari e oceani, la riduzione della superficie produttiva, l’estinzione di parecchie specie viventi, di fronte a un aumento costante della popolazione, per cui si fa allarmante l’insostenibilità della domanda umana. In 234 giorni abbiamo esaurito le risorse disponibili del pianeta generate dalla terra ogni anno; questo in ragione della nostra totale incoscienza nella civiltà degli sprechi e consumi da ridimensionare, che produce tanti rifiuti non riciclabili (non se ne dovrebbero creare più di quanto la biosfera riesca a metabolizzare); onde il fallimento del sistema neoliberista in costante crisi strutturale, esposto a un’egemonia del mercato fuori controllo, mentre si dovrebbe affrontare una razionale riduzione dei bisogni, anche al fine di una più equa distribuzione della ricchezza.
Male l’uomo interpreta il precetto di sottomettere e dominare la terra (Genesi, cap. I) secondo una logica fondamentalista e una cieca visione gerarchica. Bisognerebbe invece per alcuni seguire l’ispirazione di un movimento filosofico quale è quello di ecologia profonda, fondato nel 1912 dal filosofo norvegese Arne Naess e inteso a un radicale superamento dell’antropocentrismo in funzione di un punto di vista olistico e organicista. La modernità tecnologica e industriale vi risulta intrinsecamente incompatibile con la salvaguardia degli equilibri ecologici nel creato. Bisogna invece mettersi in ascolto della natura, rinunciando a ogni violenza nei suoi confronti, mentre invece non si può non constatare l’esistenza e la potenza delle forze di morte, del male nel mondo.
Giovanni Paolo II in occasione della Giornata mondiale della pace (1 gennaio 1990) prospettava la visione di un universo armonioso, vero cosmo dotato di una sua integrità e di un suo interno e dinamico equilibrio (n. 8). Il luterano Jürgen Moltmann in uno scritto del 1986 aveva esposto una dottrina ecologica della creazione, per cui lo scambio e la condivisione prevalgono sulla subordinazione. Deve intervenire una maggiore reciprocità di relazioni tra l’uomo e la natura, come una specie di contratto naturale. Il concetto di salvaguardia del creato figura anche nei lavori dell’Assemblea ecumenica di Basilea del 1989.
Alla fine la missione affidata all’uomo è di portare a buon fine la creazione, avendo la prospettiva di una comunione veramente universale, mentre il tradizionale antropocentrismo è concepito come dominio senza limiti di una creazione da consumare.
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