Nei momenti peggiori e più drammatici della sua storia l’Italia ha sempre trovato le energie migliori per superare le crisi: ciò fa sperare che possa essere così anche nell’oggi così segnato da una gravissima contingenza economica, politica, sociale, culturale, morale. Il contributo dei cattolici è sempre stato determinante e qualificante, soprattutto per la loro concezione del Bene comune, nel dare contenuto positivo all’agire politico mostrando che il punto centrale non è definito da una semplice scelta di schieramento né da una formula governativa.
Per questo, ciò che conta nel presente è di evitare sia il lamento recriminatorio nei confronti del passato sia l’ingenuità di pensare che la salvezza possa venire da un “governo tecnico” (che comunque dovrà imporre sacrifici pesanti) per il solo fatto che non si identifica con nessuno dei due poli. La sfida che i cattolici devono accettare consiste, invece, nel ripartire da quel realismo che fa cogliere nelle circostanze i segni di una positività possibile, che sta prima di ogni pretesa della politica di rispondere a tutto e che è riconoscibile nell’esperienza vissuta di un popolo unito da un’appartenenza più profonda degli interessi che dividono.
In questo senso il primo compito dei cattolici è riprendere a tessere relazioni, a produrre beni essenziali, a cercare una distribuzione più equa dei sacrifici, lavorando per costruire la giustizia e disinnescare conflittualità sociali, ma soprattutto per tutelare i cosiddetti valori “non negoziabili” come la difesa della vita o la libertà di educazione (in questo senso è difficile immaginare che la Sanità, la Pubblica Istruzione o il Welfare possano essere considerati beni cui applicare solo “criteri tecnici” di bilancio).
Delle scelte andranno fatte e speriamo che le famiglie o il mondo della Carità non debbano pagare troppo i costi della crisi, anche se è indubbio che tutti dovremo ridimensionare le nostre pretese e le nostre attese e saremo chiamati ad uno stile di vita più sobrio. C’è da sperare che crescano esperienze di solidarietà per i più deboli (come ad esempio quella del Banco di Solidarietà alimentare), cercando però di potenziare e favorire anche nuove opportunità di iniziative imprenditoriali (soprattutto giovanili) che introducano creatività ed innovazione, e sviluppando le risorse di mutuo aiuto tra le imprese per evitare che soprattutto le più piccole siano schiacciate dalla pura logica del Mercato. Su questo non esistono ricette a senso unico, ma bisognerà inventare “buone pratiche” capaci di creare “relazioni virtuose”, per dirla con un’espressione cara al nostro Arcivescovo, con un sussulto di libertà che rifiuti sia la lamentazione sia la pretesa miracolistica che tutto possa essere risolto senza il necessario impoverimento di beni materiali cui saremo costretti.
Viene, piuttosto, il tempo di riscoprire la positività della Realtà, che è in sé buona perché è l’occasione in cui l’uomo misura la propria statura umana rispondendo alle circostanze in cui Dio lo pone. E’ il tempo di valorizzare tutte le risorse, soprattutto umane e lavorative, cercando nuove forme di partecipazione alla vita sociale; è il tempo in cui i soggetti naturali come la famiglia ritrovino il loro spazio, investendo sull’educazione e la formazione delle giovani generazioni per non tradirle; ed ancor più per i cattolici è il tempo di svestire le vesti faziose del partitismo per fondare la Speranza nel futuro solo sull’obiettiva bontà di ciò che Dio ha creato; ma soprattutto è tempo che le nostre comunità ecclesiali diano testimonianza di una reale fraternità capace di condividere la vita quotidiana.
Per meglio comprendere a quale responsabilità sono chiamati i cattolici si può paragonare la crisi di oggi a quella della Tarda Antichità, quando nel IV e V secolo furono proprio le comunità monastiche e la vita della Chiesa a far rinascere il desiderio di lavorare per trasformare la realtà e ricondurla al suo significato originario, sviluppando un’opera educativa e culturale che faceva nascere forme nuove di vita comunitaria in grado di rimettere insieme i diversi in nome di una visione della società come bene di tutti. È l’opportunità e la sfida che oggi come credenti ci è offerta per non ridurre l’impegno pubblico a puro tatticismo.
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