È sicuramente deprecabile, ma è l’inesorabile realtà del presente: la ormai sempre più scarsa considerazione dell’infausto periodo che precedette la nascita della repubblica. Una prova quasi istantanea nella commemorazione di uno dei più importanti eroi varesini, perito sotto il fuoco della milizia ad un passo dalla Liberazione: Carletto Ferrari, celebrato davanti alla sua tomba domenica.
Anno dopo anno, malgrado la presenza delle autorità ufficiali (sindaco in testa) e l’innegabile sforzo dell’ Anpi, rappresentata dal professor Laforgia, che ha svolto una dotta relazione storica, chi assiste è un numero sempre inferiore di persone. Cessato il periodo del dibattito se la matrice della Resistenza fosse solo quella di origine marxista e non anche cattolica, che occupò le cronache negli anni ‘80 e ‘90, oggi vi è una assuefazione a una rilettura asettica, quasi fiabesca, come scrisse in premessa al libro su Antonio De Bortoli, Mario Argenton, uno dei cinque membri del Comitato volontari della libertà, con Parri, Stucchi, Longo e Mattei.
Senonché questi racconti celano una storia cruenta di torture, fucilazioni, lotte disperate, che da noi culminano nell’episodio del monte San Martino (novembre 1943), la prima “scintilla di tutte le grosse battaglie partigiane” (Francesco Luciano Viganò).
Muoiono i protagonisti e gli artefici della libertà dei giorni nostri che ci hanno dato democrazia; nessuno si ricorda di loro. Ammirevole è lo sforzo – anche del nostro giornale – di dare conoscenza agli episodi, ai valori di chi resistette, perché, come scrisse lo stesso Argenton, “la guerra alla macchia non possedeva archivi”, e la macchia era il terreno, la casa di chi si opponeva alla sopraffazione.
Franco Giannantoni è lo storico e analista puntuto rispetto al piatto conformismo di quelle stesse forze politiche che possono esercitare il loro confronto solo grazie al contributo anche di vita di Attilio Vergani, Nuccia Casula, Walter Marcobi, Noè Paietta, Aristide Marchetti, René Vanetti, Mario Ossola, Don Franco Rimoldi, Claudio Macchi, Rino Pajetta (Paolo), Pasquale Monti, e tanti tanti altri.
Il pericolo più grande, a mio parere, è quello di asseverare che la Liberazione sia stato un momento di fine guerra mondiale ad opera degli Americani e delle Forze Alleate.
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