Una concomitanza, in una sera d’inverno. Mentre per “Servizio pubblico” di La7 va in onda una squallida pochade, interpretata da Berlusconi e Santoro, può capitare di avere tra le mani un libro. Il libro è “Casa Biagi, una storia familiare”( Rizzoli), scritto con penna piacevole e “leggera” dalle figlie di Enzo, Bice e Carla. E capita proprio che la lettura sia ormai alle ultime pagine. La narrazione della parabola della vita del giornalista, malato da tempo e più volte operato di cuore, privato da poco della moglie e prossimo al dolore per la morte della più giovane delle figlie, l’Anna, sta per concludersi. Lucia, la compagna di una vita, si spegne nel 2002. La piccola di casa se ne andrà invece per sempre nel maggio del 2003, come ricorda l’esatta cronologia del rosario di sofferenza snocciolato dalle due autrici. Ma in quel doloroso passaggio esistenziale manca un’altra tappa cruciale. Proprio Biagi era solito ricordare un proverbio russo: “Quando il dolore bussa alla tua porta spalancala: non è mai solo”.
A cadergli addosso è il cosiddetto editto bulgaro, la sparata berlusconiana da Sofia del 18 aprile 2002 su Biagi, Santoro e Luttazzi “per l’uso criminoso della televisione pubblica pagata con i soldi di tutti” in cui si chiedeva alla dirigenza Rai “di non permettere più che questo avvenga”. La colpa, ricordano le figlie di Biagi, nasceva da un paio di interviste “non allineate”, una a Benigni, l’altra a Montanelli alla vigilia delle elezioni del 2001, mandate in onda nella trasmissione serale su Rai uno “Il fatto”.
Biagi replicò davanti ai suoi telespettatori a testa alta: “Signor Presidente Berlusconi, dia disposizioni di procedere perché la mia età e il senso di rispetto che ho per me stesso mi vietano di adeguarmi ai suoi desideri… Eventualmente è meglio esser cacciati per aver detto qualche verità che restare al prezzo di certi patteggiamenti … Ho voluto raccontare una storia che va aldilà della mia trascurabile persona e che coinvolge un problema fondamentale: quello della libertà di espressione”. Ebbe come definitiva risposta la raccomandata con ricevuta di ritorno di Agostino Saccà che annunciava il non rinnovo del contratto.
“Per la prima volta vedemmo nostro padre vecchio”… “uscendo per l’ultima volta da Corso Sempione si era chiusa per lui una parte tanto importante della sua vita”. Quel che è certo è che Biagi varcò quella soglia sempre a testa alta. Collaborerà di nuovo per la Rai solo nel 2007, ma non farà in tempo a completare il ciclo televisivo di trasmissioni previste. L’uscita di sicurezza, l’exitus definitivo, sarà dalla stanza 318 della Clinica Capitanio, il 6 novembre 2007.
Santoro, rientrato in televisione da un’ altra porta, in vista delle prossime elezioni ha recentemente invitato il Cavaliere, che non se lo è fatto dire due volte, a una singolar tenzone nel suo “Servizio Pubblico”. Ci è parso, mentre leggevamo le ultime righe nel libro delle due sorelle, la Bice e la Carla – come si chiamano tra loro e con gli amici – e dallo schermo arrivava il sonoro dell’infilata di battute e gag tra i duellanti, che il giornalista abbia perso l’occasione di usare quel suo diritto di replica al meglio, anteponendo al personale orgoglio l’onnivoro desiderio di audience. Peccato. Peccato mortale, soprattutto per chi ha la fortuna di esercitare uno tra i più bei mestieri al mondo.
Noi abbiamo nostalgia di Biagi, della sua coerenza di vecchio giornalista nato a Pontecchio, del suo pedigree di bastian contrario venuto dalla provincia. L’aveva dimostrata e ben spiegata, la coerenza, anche quando s’era deciso a chiudere l’insoddisfacente collaborazione con Repubblica, continuando a parlare ai lettori dal “suo” Corriere. “Ho un carattere non facile, lo ammetto, e certi lo dicono, però pago sempre i miei conti e corro in proprio e non per altri”, così si scusò con chi aveva sempre voglia di leggerlo. Questione di dignità.
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