È possibile che la storia si ripeta: la “sindrome di Occhetto” che nel 1994, delegittimando la Dc, ha aperto la strada al “berlusconismo” e la vittoria di Prodi nel 2006 che, con la rimonta dell’uomo di Arcore, si è trasformata in sconfitta, sono tornati a ad essere degli scenari verosimili per le prossime elezioni.
Anche in questa campagna elettorale Bersani sottovaluta la capacità di attrazione del populismo e fa un errore favorendo lo schema bipolare; invece di denunciare le riforme non fatte, le promesse e gli slogan al posto dei provvedimenti concreti, se la prende con il “centro” di Monti e non si accorge che la banalizzazione della politica sta rinvigorendo la mala pianta del populismo. Il centro di Monti è un argine al “berlusconismo”.
La trasmissione televisiva che ha raccolto una platea sterminata di spettatori è stata l’incontro di due campioni del populismo: quello di sinistra rappresentato da Michele Santoro e quello di destra personificato dall’eterno Berlusconi.
Non è stato un dibattito, è andato in onda per quasi tre ore un durissimo processo a Monti che veicolava il messaggio politico fondamentale: la colpa è tutta del premier che, con la sua politica di rigore, ha precipitato l’Italia in una drammatica recessione.
La realtà è stata capovolta: chi ha sperperato per un ventennio le risorse pubbliche, ha vanificato le necessarie riforme, ha permesso l’espansione della “casta politica” con il retaggio di malaffare, ha meritato il dileggio dei governi europei, è diventato il paladino del buongoverno; mentre chi ha salvato il nostro Paese dal baratro con una politica di rigore, che ha rimesso in ordine i conti pubblici, ha fermato la spesa pubblica e ha drasticamente ridotto lo “spread” degli interessi che paghiamo per sostenere il mostruoso debito pubblico è stato messo sul banco degli accusati in modo da spostare l’attenzione della gente dai veri problemi del nostro Paese e dalle cause reali del suo declino ventennale.
È proprio vero che quando la sinistra si appoggia alla sua ala radicale finisce con il favorire il suo naturale avversario di destra; quando i due estremismi si confrontano, vince sempre quello di destra.
Le trasmissioni di Santoro erano state definite da Mino Martinazzoli come delle “fumerie d’oppio” e anche l’ultima non ha smentito tale calzante definizione esibendo un perfetto campionario delle due versioni del populismo; la sfilata degli intervistati era funzionale alla tesi che la politica deve tornare ad avere legittimità e che i personaggi della società civile fanno solo danni: il succo del discorso è via i tecnici, ritornino i politicanti per continuare l’allegra politica di prima.
Il colossale debito accumulato non esiste e, comunque, non fa problema se lo Stato è in grado di stampare le banconote, recuperando la sua sovranità monetaria; la disoccupazione è causata dalle mene dei tedeschi che vogliono dominare l’Europa, anziché la conseguenza di un’economia nazionale stagnante da un ventennio; la recessione dipende dalle tasse troppo alte piuttosto che dalla scarsa propensione al rischio e all’innovazione di molti industriali; le imprese delocalizzano i propri impianti perché non si fidano dei “comunisti” e non invece perché la nostra struttura burocratica è diventata una macchina mangiasoldi che Monti ha cercato invano di modificare.
Berlusconi continua a ripetere le cose che dice da vent’anni ma anziché annoiare trasforma i luoghi comuni in profezie che si auto-avverano; sembra incredibile che una popolazione più scolarizzata abbia perso quel sano buon senso che aveva permesso ai progenitori, semianalfabeti e privi dei sofisticati strumenti di informazione attuale, di compiere scelte fondamentali come quelle a favore della libertà, della democrazia, della repubblica, dello “Stato di sicurezza sociale”.
Non si parla delle riforme se non per dire che sono necessarie e che pure non si fanno, non ci sono programmi per fronteggiare la sfida del lavoro che viene meno in un mondo dove i processi di industrializzazione si spostano verso altri continenti, non ci sono idee per evitare la deriva di una intera generazione di giovani.
Il “clou” della politica italiana è tornato ad essere l’uomo-carisma che possiede la capacità di convincere, una questione di sola buona volontà dei “politici adatti” esentati dal peso della complessità dei problemi e dalle compatibilità economiche. Con questa vulgata nazional-popolare Berlusconi è stato trasformato da grande imputato a grande accusatore e Santoro, il “mago della sinistra” che incanta le folle, si è rivelato un demiurgo di celluloide che fa perdere le elezioni.
La colpa è sempre degli altri e questo lavacro televisivo ha ripulito la coscienza di milioni di cittadini che si sentono così immuni da sensi di colpa; l’ “audience” ha fatto lievitare di alcuni punti la declinante popolarità dell’uomo di Arcore e rischia di annullare i processi culturali di riflessione e di giudizio critico da parte di milioni di cittadini. Ma poi? E la nostra credibilità all’estero, già duramente compromessa da quando l’Italia ha rinunciato ad essere protagonista dell’Unione Europea e che solo il prestigio di Monti ha consentito di recuperare in parte? L’illusione fatta balenare di allentare i vincoli europei, magari con il ritorno alla vecchia lira, è un miraggio che si spiega soltanto con la perdita della “memoria storica”: dell’inflazione a due cifre, della polverizzazione dei salari, delle pensioni e dei risparmi; delle svalutazioni competitive che permettevano agli imprenditori di guadagnare senza investire e di nascondere i profitti nel paradisi fiscali. Gli italiani, eterni “bamboccioni”, con la loro credulità verso le favole e l’inclinazione per i personaggi “simpatici”, rischiano di lasciare alle future generazioni il costo della loro irresponsabilità.
Il bipolarismo muscolare dimentica il linguaggio della verità ma senza verità – diceva Hannah Arendt – non c’è democrazia.
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