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Cara Varese

COMUNIONE POPOLARE

PIERFAUSTO VEDANI - 11/01/2013

Varese è la città dei miei nonni paterni, la conoscevo prima del mio arrivo alla “Prealpina”, nel 1963. Mi piaceva per la sua quiete, coltivata e difesa dalla comunità senza compromettere slanci e operosità che già l’avevano proiettata nella élite del boom economico nazionale.

Mi piacque ancor di più nel gennaio del ’64 e negli anni successivi grazie alla scoperta della festa di Sant’Antonio Abate, che aveva come riferimento una piccola piazza e una chiesa. Appunto la Motta, secolare crocevia di persone e traffici. Da anni guardo al 17 gennaio come felice connubio di religiosità e di laicità festaiole, incredibile comunione e fraterna condivisione di sensibilità, appartenenze, forse addirittura di culture. Il tutto nel segno di popolare vastità e di unione, ai tempi nostri riscontrabili di fatto ogni quattro anni, quando la nostra nazionale di calcio supera gli scogli di un campionato mondiale di calcio.

Questa festa ingenera attesa, desiderio di adunarsi e trovarsi per dare vita a tanti piccoli riti che, anche in città e paesi diversi, al Nord e al Sud, ci hanno visti sereni, felici negli anni dell’infanzia e dell’adolescenza.

Che cosa è stata e che cosa è la festa della Motta: il falò, la benedizione degli animali, il lancio dei palloncini, le bancarelle, i cibi fumanti, l’accesso alla chiesa regolamentato quasi si fosse a Gerusalemme.

Già, davanti all’abate Antonio, primo eremita e tra i primi fondatori del monachesimo, inoltre in qualche misura, lui ultracentenario, patrono dei vecchi, vogliono appunto transitare, magari per curiosità, anche numerosi non credenti o indifferenti.

Di Antonio abate a me piace ricordare che era un extracomunitario e vederlo onorato anche dagli isolazionisti di casa nostra mi fa stare bene. Ma grazie al 17 gennaio sto psicologicamente bene anche quando scende la sera dell’Epifania, quando cioè cala la tela sul periodo natalizio e per tutti ritorna la quotidianità con i suoi impegni e affanni. Dopo l’Epifania, l’Italia, mezzo mondo, rialzano la saracinesca, gli alveari riprendono a ronzare a pieno regime, ma noi a Varese se diamo nella misura giusta quanto in campo sociale ci viene richiesto, sappiamo però che ci attende una sorta di coinvolgente prolungamento del tempo natalizio e quindi ci basta solo pensare alla Motta per sentirci un tantino ancora in vacanza, addirittura dei privilegiati.

In questo senso si è … monelli, certamente senza la storia dei famosi “Monelli della Motta” che da tempo sono importanti collaboratori della grande festa, ma nel passato si impegnarono a volte in compiti non richiesti. Come il rifornimento di legna per il falò sotto forma di goliardici furti di carriole e di porte di gabinetti di esercizi pubblici.

Angelo Monti, nobiltà del lavoro e del cattolicesimo varesini, ci ha raccontato spassose imprese che risalgono alla fine dell’Ottocento. Racconti che coincidono con le memorie di mio nonno Pietro Vedani, classe 1859, e quelle di suo nipote Nino che, oggi ultranovantenne, vive a Biumo.

Essi, in tempi diversi, hanno vissuto una realtà cittadina meritevole di elegia. Chi scriverà la storia varesina dell’epoca presente non indulgerà a dolci malinconie, lo potrà fare se solo la comunità del momento avrà messo in soffitta addirittura anche la festa della Motta.

Ma penso che nemmeno un imam o alieni calati dal cosmo, anche nel remoto futuro cancellerebbero la grande comunione popolare del 17 gennaio.

nelle foto: immagini della festa del 16 gennaio 2013

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