La festa di Sant’Antonio Abate è celebrata a Varese con una partecipazione tutta speciale, che ne fa la vera festa popolare della città. Ma sono molte le altre località del Varesotto dove si festeggia il Santo dalla barba bianca, tradizionalmente invocato per la salute degli uomini e degli animali domestici, quelli che un tempo erano la base per la sopravvivenza della famiglia contadina. E molto simili sono i riti e le tradizioni, prima fra tutte quella del falò, che affondano le radici in tempi antichissimi.
Tra i luoghi che riconoscono in Sant’Antonio il proprio patrono, Viconago in Valle Tresa, quasi sul confine svizzero, ha la fortuna di conservare una chiesa molto antica e ricca di testimonianze pittoriche che vanno dal Trecento al pieno Rinascimento. L’edificio ha una storia complessa, più volte indagata a cominciare dagli studi di don Mario Frecchiami, che qui fu parroco, ma non ancora completamente chiarita.
A partire da una piccola costruzione medievale ad aula unica, attraverso successivi ampliamenti e un cambiamento di orientamento dell’abside, si è giunti alla struttura attuale, con l’insolita configurazione a due navate parallele, concluse da due absidi quadrate, entrambe completamente affrescate. Un restauro durato molti anni, sostenuto da un’attivissima e meritoria associazione locale presieduta da Graziella Croci, ha permesso di rendere leggibili queste immagini, che erano state in gran parte dimenticate e nascoste sotto strati e strati di calce.
Paradossalmente la figura del Santo titolare vi compare molto poco. La sua figura è sì collocata in facciata, all’interno di una nicchia che sormonta la porta di ingresso, ma si tratta di un’immagine di gusto popolaresco e di difficile datazione. L’interno invece, e particolarmente le due absidi, si distingue per la presenza di cicli pittorici fortemente unitari e sostenuti da una chiara consapevolezza dottrinale. Sulle pareti si dispiegano le storie della vita di Cristo, tra cui si leggono ancora chiaramente la Natività, l’Adorazione dei Magi e la Crocifissione sopra l’altare di sinistra. In alto, nelle due volte affiancate, troviamo i simboli degli Evangelisti e i Dottori della chiesa, mentre nei sottarchi trovano posto i busti dei Profeti. La fascia inferiore delle pareti è destinata ai Santi, prima di tutti i dodici Evangelisti, mentre nello zoccolo scorre la sequenza dei dodici Mesi, rappresentati attraverso i lavori che in essi si svolgevano. È un piccolo catechismo per immagini, che parte dalla vita quotidiana, per giungere attraverso la mediazione dei Santi e l’insegnamento del Vangelo e della dottrina della chiesa, a proclamare la centralità di Cristo. Le immagini sono poi accompagnate da un puntuale commento scritto, che si svolge nei cartigli che i personaggi tengono in mano e che fungono da veri e propri fumetti: ciascuno degli Apostoli, ad esempio, è associato ad un versetto del Credo.
Ciò che stupisce è il fatto che questo ciclo così ben strutturato sia stato eseguito in due riprese, con in mezzo un intervallo di tempo che può essere stato anche di una ventina d’anni. Gli affreschi di sinistra sono infatti di gusto ancora tardogotico, nel linguaggio che in queste zone veniva praticato da artisti come Guglielmo da Montegrino ed Antonio da Tradate tra la fine del Quattrocento e i primi del Cinquecento. L’abside di destra è stata invece dipinta nel 1531 da un artista pienamente rinascimentale, Bartolomeo da Ponte Tresa, fortemente influenzato da Leonardo. Se Bartolomeo ha firmato e datato la sua parte di lavoro, il pittore più anziano non ha lasciato alcuna iscrizione che permetta di identificarlo, ma ha ci ha consegnato un indizio prezioso relativo al committente. Nello zoccolo dell’abside di sinistra c’è infatti uno stemma, molto simile a quello della famiglia Rusca, un potente casato che in quel periodo di tempo dominava sulle valli tra Como e il Verbano. L’intervento di un committente importante e facoltoso può spiegare la presenza di affreschi di questa qualità in un luogo come Viconago, apparentemente fuori dai percorsi più battuti. La chiesetta conserva infatti anche altri affreschi di grande interesse, come una rappresentazione quattrocentesca della Trinità, che riprende un’iconografia alquanto insolita, ma presente nel Santuario di Ghiffa sul Lago Maggiore, e una raffigurazione trecentesca di San Leonardo affine a quella che troviamo nel Battistero di Varese.
Tutte opere che meritano una visita, magari approfittando proprio della festa di Sant’Antonio.
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