Mario Gallini, avvocato, sedeva nel Consiglio Comunale di Varese sui banchi socialisti. Vantava un passato di valoroso partigiano del raggruppamento Giacomo Matteotti. Arrestato, torturato dai militi delle Brigate Nere nelle cantine di Villa Dansi, finì poi nelle carceri dei Miogni. Un rocambolesco tentativo dei suoi compagni di liberarlo durante il trasferimento al carcere era sfortunatamente fallito. Alla Liberazione fu nominato Vice Prefetto di Varese dal Comitato Nazionale di Liberazione.
Successivamente Mario Gallini fu tra i rifondatori della storica Società Varesina per la Cremazione (So.crem) di cui fu poi presidente per oltre quarant’anni. Ben disposto alla battuta ironica, ne traeva un personale divertimento che ben trasmetteva agli altri. Insomma, un simpaticone. Al Tribunale di Varese operava un tempo il giudice dottor Sinatra. Un uomo mingherlino, magro, che Gallini aveva ribattezzato dottor Si…nutra, e così lo chiamava sempre amabilmente.
Ma torniamo al Consiglio Comunale. Sindaco a quel tempo era il ragionier Arturo Dall’Ora, un dirigente amministrativo d’azienda, eletto nelle file della Democrazia Cristiana. L’argomento della serata era ostico. Numerosi ostacoli si frapponevano ad intralciare il buon esito della proposta messa in discussione. Vari consiglieri si erano alzati individuando chi uno scoglio, chi un altro inghippo tale da far naufragare la delibera. Insomma sorgevano ostacoli da ogni intervento, ma alla fine un consigliere ne individuò quello che sembrava il maggiore. “Eh sì, proprio un grosso, grosso scoglio…” fu a voce alta il chiaro commento del Sindaco, rovesciato sul suo scranno, gli occhi socchiusi, quasi a ricercare una via d’uscita. “Un grosso scoglio…” continuava a ripetere. Si sentì alta nel salone Estense la voce di Mario Gallini. “Allora è proprio uno scoglione, signor sindaco… “. Sdrammatizzazione assicurata.
Primi anni ’60. Sindaco DC è il dottor Mario Ossola, un altro valoroso combattente per la Libertà scampato miracolosamente alla deportazione in Germania. Siamo alla fine dell’epoca dei vespasiani, quella specie di tempietti pubblici sempre un po’ maleodoranti, ma tanto utili per le esigenze urinarie dei maschi varesini. Quasi tutti sono stati ormai rimossi con qualche protesta dei cittadini per via dell’obbligato ricorso ai locali pubblici in caso di umane necessità… idrauliche.
Si discute dunque delle ultime rimozioni in Consiglio Comunale. I pareri sono diversi. Ad un certo punto si alza dai banchi del PSI il consigliere ingegner Massimo Allevi, altra persona gradevole aperta alla battuta scherzosa. Allevi, sempre pronto a dare validi contributi professionali, con toni indignati, denuncia una grave scorrettezza verso i nostri antenati. “Signor Sindaco, si elimina un altro vespasiano. Vergogniamoci, stiamo tradendo la volontà ed il mandato dei nostri vecchi cittadini, mandato tramandatoci ad imperitura memoria. Sì, CESSI OVUNQUE… sta scolpito nel marmo di una lapide proprio qui a pochi passi dalla nostra sala, nel porticato del nostro palazzo !”. Sorpresa ed interesse si leggono sui volti dei colleghi: “Ma che sta dicendo?”. Mi avvicino e chiedo lumi a Massimo. Risponde: “Guarda la lapide di sinistra all’ingresso dello scalone principale. Cessi ovunque… l’asburgica tirannide”.
In verità l’iscrizione sulla lapide posta a ricordo del patriota Giuseppe Ossola, un ventenne di Caravate fucilato dagli austriaci, recita “Cessi ovunque… l’oltraggio ed il dolore della straniera schiavitù”.
Recentemente è stata fatta una bella pubblicazione sul lapidario del porticato di Palazzo Estense. Benissimo, ma tardi per acculturare i consiglieri comunali dell’epoca.
You must be logged in to post a comment Login