C’è una genericità preoccupante sui temi ambientali e sui Beni culturali nei programmi sin qui annunciati dalle forze politiche che il prossimo 24 febbraio si contenderanno i consensi degli elettori in vista di una auspicabile stagione di riforme al netto di populismi e ideologismi di ogni genere. In materia anche l’Agenda Monti, sulla quale maggiormente sono accesi in questo momento i riflettori, non fa eccezione. Un paio di cartelle con buoni, rituali propositi e nulla più riassumono i temi centrali della gestione dei rifiuti, una delle tante piaghe vergognose del nostro mezzogiorno; dell’ormai insostenibile consumo di suoli agricoli; della cosiddetta “gestione integrata della acque”, cioè il dissesto idrogeologico di gran parte del territorio nazionale; della tutela dell’Italia della bellezza, dell’arte, del turismo. Servirebbe maggiore convinzione nel prospettare investimenti per interventi risolutori da coordinare ovviamente a livello locale, per un’Italia che appena piove un po’ più forte del solito, va sott’acqua, si affloscia come panna montata. Risultato sotto gli occhi di tutti: morti, feriti, compromissioni profonde e permanenti del territorio, folli spese per l’emergenza. Territorio che d’estate conosce invece un crescendo inarrestabile di incendi nelle zone costiere e sulle isole, propiziati quasi sempre da disegni criminali a sfondo speculativo, mentre dalla revisione della spesa emerge che l’impiego dei Canadair, ovvero il pronto soccorso antifuoco, risulterà ridotto.
Stesso discorso per i Beni Culturali, un ministero voluto da Giovanni Spadolini a metà degli anni ’70, che gli esperti del settore, come il collega Vittorio Emiliani, descrivono come ormai ipertrofico e pletorico al centro, esangue invece nelle Sopraintendenze territoriali di settore chiamate a rispondere a un numero di adempimenti burocratico amministrativi insostenibile. Sono decenni ormai che una più incisiva tutela del “bene Italia”, inteso come luogo dove è maggiormente concentrata al mondo la bellezza della natura e quella costruita dagli uomini, reclama un’urgenza quasi sempre disattesa dai vari e troppo numerosi governi della Repubblica ma anche da Regioni e Comuni. Quest’ultimi indotti dalla legge dello Stato a lucrare il massimo possibile dagli oneri di urbanizzazione provenienti da nuove costruzioni per finanziare almeno in parte i propri bilanci spogliati da un rinnovato centralismo romano. Di fatto un incentivo legale alla speculazione.
Tuttavia, in ultima analisi, anche il tema della gestione del territorio e dei Beni Culturali non può non rimandare a una questione più ampia e decisiva per il futuro del paese: la riorganizzazione della costosissima Amministrazione centrale dello Stato, da sempre capace di vanificare qualsiasi serio intervento riformatore, associata a un meditato ripensamento dell’articolazione istituzionale e fiscale del governo locale nel segno di un possibile federalismo delle responsabilità.
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