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Attualità

ALLA SBARRA SEI PILOTI DEI “VOLI DELLA MORTE”

FRANCO GIANNANTONI - 04/01/2013

 

manifestazione di mamme di "desaparecidos"

Pochi ne parlano. Credo sia giusto farlo perché riguarda anche noi. Dal 26 novembre in Argentina sei piloti dei “vuelos de la muerte” che lanciarono ancora in vita dai loro aerei i prigionieri del regime militare di Videla e Massera sono davanti ai giudici della Corte d’Assise per rispondere dei loro misfatti. Un fatto epocale, simile al processo di Norimberga ai gerarchi nazisti o a quello ad Adolf Eichmann, il regista dello sterminio ebraico.

Oltre ai sei piloti della morte, sono imputati 68 membri della Marina Militare, della Guardia Costiera e della Polizia. L’accusa, in un dibattimento che si annuncia molto complesso e soprattutto lungo (un paio d’anni, secondo le previsioni) è di “privazione illegittima della libertà, torture e assassinio” di 789 cittadini, non solo argentini, rastrellati di casa in casa dai “battaglioni della morte” nel corso della “guerra per la riorganizzazione nazionale” fra il 1976 e il 1983 e radunati prima del massacro nella base della Marina militare a Punta Indio nei pressi di Buenos Aires.

I testimoni d’accusa pronti a parlare sono oltre mille.

Drogate e sedate con medicinali le vittime erano scaricate, legate a gruppi con robuste corde, da migliaia di metri in quota nel Rio de la Plata oppure nell’Atlantico. Gli imputati dalle prime battute processuali hanno mostrato un diverso atteggiamento: c’è chi ha raccontato anche nei particolari quello che ha commesso per tentare di alleggerire in qualche modo la propria responsabilità e chi l’ha fatto per menarne vanto sfidando l’opinione pubblica.

Se il processo ha potuto cominciare è perché il giornalismo d’inchiesta, come accade sempre più di rado, ha lavorato a lungo e con estremo coraggio, pagando, in un paio di casi, con la vita dei suoi rappresentanti.

Se fosse dipeso dalla macchina giudiziaria ancora frenata dai condizionamenti del passato soprattutto nelle gerarchie militari, l’orrendo crimine nato, progettato e portato a termine in uno dei più infami lager della dittatura civile-militare, la Scuola dei Sottufficiali del Genio dell’Esercito, conosciuta come l’Esma (Escuela de mecanica de la Armada), non sarebbe mai stato reso pubblico.

La “Storia della sporca guerra in Argentina” di Horacio Verbitsky, un libro clandestino, aveva rappresentato il primo passo verso la verità. Si era ancora nel pieno della dittatura. L’occasione fu offerta dall’apparizione di alcuni cadaveri riemersi dal grande fiume. In quel momento l’ipotesi più accreditata era che quei corpi fossero stati scaraventati dalle navi. Un anno dopo il giornalista Rodolfo J. Walsh, approfondendo l’argomento, in una “Lettera aperta alla Giunta militare” giudicata da Gabriel Garcia Marquez “un magistrale esempio di giornalismo” aveva rivelato che i prigionieri erano “volati” dagli aerei partiti da alcune basi militari di cui aveva segnalato la esatta ubicazione. Risultato: Walsh fu arrestato e quando arrivò nella tetra caserma dell’Esma era già morto.

Nel 1995 ancora Verbitsky nel suo libro “El Vuelo” fece il primo nome di un pilota assassino, Adolfo Scilingo, poi fuggito in Spagna e fatto arrestare dal giudice Baltasar Garzon, il magistrato che aveva ordinato la cattura del boia cileno Augusto Pinochet. Scilingo aveva ammesso i suoi delitti compiuti in due voli con 30 vittime.

Nel 2007 era stato condannato all’ergastolo dall’Audiencia Nacional con l’avvocato Gonzalo Torres de Tolosa indicato da Scilingo come un civile, parente di uno dei comandanti delle forze navali che si era fatto passare per membro della Marina al solo scopo di partecipare alle torture e ai voli.

Il secondo pilota, indicato a Verbitsky dal figlio di un sottufficiale della Marina militare, era stato Ricardo Ormello. Il giornalista Diego Martinez ne ricostruì la storia dopo averlo rintracciato. Era uscito un racconto da brividi: i detenuti arrivavano all’aeroporto militare “Jorge Newbury” di Buenos Aires come fossero ubriachi ma comunque ancora in grado di salire a bordo dell’aereo da trasporto, in genere del tipo Lockheed L 188 Electra o Short Sc. 7 Skyvan 3 M. 400. Una volta seduti, veniva loro somministrato del Pentothal con un’iniezione. All’ordine del comandante venivano trascinati e gettati dal “portello” da alcuni ufficiali di bordo.

Miriam Lewin, un’ex torturata dai militari all’Esma, ora brillante giornalista negli Stati Uniti, al termine di una lunga inchiesta, riuscì a entrare in possesso di una copia della “Storia tecnica dei voli” con i particolari di ogni “missione”: luogo di partenza, orario, destinazione, durata, nome del comandante. Sull’onda del ritrovamento, la magistratura ottenne dalla Guardia Costiera 2758 piani di volo da cui vennero alla luce 11 voli che coincidevano con la deposizione testimoniale di Scilingo. Uno di questi era partito da Buenos Aires il 14 dicembre 1977 alle 21,30, aveva volato per tre ore e dieci minuti senza passeggeri ed era tornato al punto di partenza. Fu il solo volo il cui obiettivo dichiarato era “la navigazione aerea notturna”. Su quell’aereo vi erano fra gli altri una suora francese, Leonie Duquet e una militante antifascista Angela Auad, segregate all’Esma, i cui resti furono restituiti dall’Atlantico nello stesso dicembre del 1977, sepolti come “ignoti” (N.N.) nel cimitero “General Lavalle” presso Buenos Aires, e identificati nel 2004 da alcuni antropologi forensi con i resti di altre tre donne, fra le fondatrici del Movimento “Madri di Plaza de Mayo”, Esther Ballestrino, Maria Eugenia Ponce e Azucena Villaflor. Le ferite erano apparse compatibili con quelle di una caduta in acqua da un’altezza notevole.

I piloti-assassini furono identificati nel 2011 e arrestati: Enrique José de Saint Georges, Mario Daniel Arru e Alejandro Domingo D’Agostino. Avevano lasciato la Guardia Costiera ed erano stati assunti dalle Aerolineas Argentinas ma ciò non era bastato per sfuggire alla legge.

Altri due piloti, ora sotto processo, furono catturati a causa del loro narcisismo. Il primo dal 1988 viveva in Olanda ed era pilota della Compagnia Transavia. Durante uno scalo a Bali si era confidato con alcuni colleghi (i quali confermarono i loro racconti al giudice argentino giunto in Olanda) che, smarriti nell’udire la macabra descrizione, si erano sentiti rispondere “che quella era stata una guerra contro i terroristi-drogati”. Si trattava del pilota Julio Andres Poch, sposato con una cittadina olandese il che aveva impedito la sua estradizione. Il solo modo era di stanarlo all’estero. E così avvenne: Poch fu bloccato nel 2009 a Valencia nel suo ultimo volo prima di dimettersi. L’altro pilota-assassino era Emil Sisul Hess, che nel 1991 dopo la carriera aviatoria, aveva diretto un complesso turistico a Villa La Angostura nel sud dell’Argentina. Hess in vena di protagonismo si era aperto, divertito, con alcuni clienti, descrivendo come i prigionieri chiedessero “pietà mentre pregavano” prima di precipitare nel Rio de La Plata. “Cadevano come formichine”, aveva precisato con rabbia e risentimento.

Dopo un blocco dei processi fra il 1986 e il 1990 a causa di leggi e decreti di indulto, dichiarati ora incostituzionali dalla Corte Suprema, la macchina giudiziaria si è rimessa in cammino, sorretta dalla determinazione nel 2005 dell’ex presidente dell’Argentina Nestor Kirchner. Sinora sono stati condannati 300 criminali, in gran parte militari. Le assoluzioni sono state 24 il che significa che le regole sulla presunzione di innocenza, in carenza di prove, sono rispettate.

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