Il Natale richiama alla mente ed al cuore la concezione che il Cardinal Lercaro privilegiava della Chiesa come Chiesa dei poveri, anzi di poveri. Tanto più vale il richiamo in un tempo come il nostro di gravissima crisi, in cui la condizione di povertà scade facilmente nella miseria e nell’abbandono.
Colui che i cieli e i cieli dei cieli non possono contenere entra nel tempo e nella storia; nella natività di Gesù la Chiesa proclama la sua fede nel mistero di Dio fatto uomo. “Quando giunse la pienezza del tempo Dio inviò il Figlio suo, nato da una donna, sottomesso alla legge, affinché riscattasse coloro che erano sottoposti alla legge, affinché ricevessimo l’adozione a figli … e così non sei più schiavo, ma figlio” (Gal. 4,4). Un nuovo mondo nasce in un clima d’umiltà e povertà; il bimbo celeste, avvolto in fasce, giace in una mangiatoia e non nello splendore regale di una reggia, ma la gloria del Signore avvolge di luce i pastori, la luce vera che illumina ogni uomo tutti i giorni e tutti i tempi. Mentre Matteo introduce l’avvenimento con la venuta dei Magi, è Luca che l’avviva nella profondità del suo significato con la visita dei pastori.
Con la nuova legge d’amore le strutture di peccato e di schiavitù si trasformano in strutture di solidarietà, che non si limita ad essere un sentimento di vaga compassione o di superficiale intenerimento, ma si determina in un impegno per il bene comune, che è il principio della responsabilità di tutti verso tutti. Il principio della destinazione universale dei beni esige che si guardi con particolare sollecitudine ai poveri, a quanti si trovano in condizioni di marginalità. L’amore della Chiesa per loro si ispira al Vangelo delle beatitudini, alla povertà di Gesù, alla sua attenzione per i poveri non solo relativamente alla povertà materiale, ma anche alle numerose forme di povertà culturale.
Quando doniamo ai poveri le cose indispensabili, non facciamo loro delle elargizioni personali, bensì rendiamo loro ciò che è loro. Così facendo, più che compiere un atto di carità, adempiamo un dovere di giustizia (S. Gregorio Magno, Regula pastoralis 3,2 – Concilio Vaticano II, Decr. Apostolicam actuositatem, 8). “In verità vi dico: tutto quello che avete fatto a uno dei più piccoli di questi miei fratelli, l’avete fatto a me” (Mt. 25, 40). Gesù riconoscerà i suoi eletti proprio da quanto avranno fatto per i poveri. I poveri nel tempo della storia restano a noi affidati e in base a questa responsabilità saremo giudicati alla fine. Il realismo cristiano peraltro ci mette in guardia dai falsi messianismi. La Chiesa riconosce soprattutto nel povero e nel sofferente un fratello. Con le parole di Isaia Gesù fa noto il suo ministero messianico: “Lo Spirito del Signore è sopra di me … mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio “ (Luca 4, 18). E i Padri della Chiesa, nel considerare il lavoro non come opus servile, come ritenuto dalla cultura antica loro contemporanea, bensì come opus humanum, lo finalizzano alla carità, al vantaggio soprattutto dei più bisognosi (S. Basilio il Grande, Regulae fusius tractatae 42).
Già nell’Antico Testamento il cap. 15, 7-8 del Deuteronomio recita: “Se vi sarà presso di te qualche tuo fratello povero … non indurirai il tuo cuore e non chiuderai la tua mano al tuo fratello povero, ma gli aprirai la mano, gli presterai generosamente quanto gli manca per il bisogno in cui si trova”. Così la legge dell’anno sabbatico prescrive il condono dei debiti e una liberazione generale delle persone e dei beni. La legislazione vuole stabilire il principio regolatore delle questioni attinenti alle povertà economiche e alle ingiustizie sociali. E’un riposo che comporta un esproprio dei frutti della terra a favore dei poveri e la sospensione dei diritti di proprietà: ne mangeranno gli indigenti del tuo popolo e ciò che lasceranno sarà divorato dalle bestie della campagna ( Es. 23, 11). Nell’A.T., nella letteratura sapienziale la povertà è descritta come una conseguenza negativa dell’ozio e della mancanza di laboriosità (Prov. 10,4), oltre che come un fatto naturale (Prov. 22, 2: Il ricco e il povero si incontrano: il Signore ha creato entrambi). I beni economici e la ricchezza sono condannati solo per il loro cattivo uso.
Nel mondo attuale poi tra Paesi ricchi e Paesi poveri lo sviluppo delle comunicazioni riduce rapidamente le distanze, onde il fenomeno delle migrazioni dalle zone meno favorite della terra. Nella maggioranza dei casi gli immigrati rispondono a una domanda di lavoro altrimenti insoddisfatta e comunque il loro arrivo è spesso percepito come una minaccia per gli elevati livelli di benessere già raggiunti dai cittadini- comparativamente. Questo in un contesto globale che mette in rilievo la povertà di miliardi di uomini e donne, questione che più di ogni altra interpella la nostra coscienza umana e cristiana (Giovanni Paolo II, Messaggio per la giornata mondiale della pace 2000, 14). La povertà pone un drammatico problema di giustizia.
Quando il povero comunque cerca, il Signore risponde ; quando grida, Egli l’ascolta. Ai poveri sono rivolte le promesse divine: saranno gli eredi dell’alleanza tra Dio e il suo popolo.
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