Non so quali domande, forse preghiere, possano levarsi silenziose dalle labbra dei bimbi che ogni sera si accodano a centinaia di altre persone in estrema difficoltà dinanzi al cancello della mensa dove ricevono un sacchetto con la cena. Non so se pensino che, l’indomani in classe, avranno come compagni di banco altri bimbi che potrebbero magari sfoggiare una felpa nuova, un piumino che tiene davvero caldo, un paio di scarpe capaci di riparare bene dalla pioggia o dal freddo. E nuove, non di seconda mano come quelle che a loro capita sempre di dovere indossare e con la forma che racconta di strada già percorsa e corse nei prati fatte da altri prima di loro.
Non so se pensino che sarebbe bello potere, la sera, essere in una casa calda, con la pasta fumante calata nel piatto e la televisione accesa, anziché in coda, con qualsiasi tempo, silenziosi di vergogna e timore per tutta quella gente attorno, che parla così tante lingue e fa discorsi da grandi che la loro tenera età ancora non comprende. In fila ad attendere qualcosa di cui cibarsi, che non si può scegliere e che la fame rende buono comunque. Li vedi questi bimbi, con gli occhi vivi come solo la fatica riesce a renderli attenti e curiosi. Con le manine infreddolite che aspettano guanti regalati da qualcuno. Con le guance segnate dall’aria a volte gelida, alla quale non ci si può sottrarre. Bimbi che accompagnano la mamma o il papà in una faticosa attesa quotidiana. Bimbi che a volte vogliono sentirsi già grandi e utili e arrivano da soli a prendere il sacchetto della cena anche per i fratellini più piccoli.
Il loro Natale è quello di speranze diverse dal gioco alla moda che va ad aggiungersi a chissà quanti altri dimessi dall’abitudine e forse anche in breve tempo. In dono avranno magari una bambola, una macchinina, un orsacchiotto che altri loro coetanei hanno avuto tra le mani e spesso hanno messo da parte ancora nuovi. Basta, certamente basta anche quello a fare nascere un sorriso timido, a fare dire un grazie. Così come basta, ogni sera, quel dolcetto, quel cioccolato che le suore e i volontari tengono in serbo proprio per i più piccoli ospiti della mensa. Non lo sanno ancora che il Natale vero è proprio il loro, quello della fatica di sentirsi un po’ diversi, chiamati a un quotidiano che sa di Provvidenza e di generosità altrui. Non comprendono nella loro ingenuità che il Natale vero è quello delle loro mamme e dei loro papà, che hanno scelto la strada angusta e incerta dell’abbandono della propria casa e della propria terra perché ciascuno per i propri figli ha il diritto umano di sognare un futuro migliore, che non sia bombardato dallo strazio di una guerra o ammutolito dalla miseria. Non vedono ancora le distanze enormi tra chi vive di superfluo e chi necessita dell’essenziale. Eppure sono loro, questi bimbi, anche il nostro Natale.
Non ci sono distanze interminabili a separarci. Sono nel cuore e nella storia della nostra città. E anche il nostro Natale sarebbe diverso e più vero se, tra le tante scelte di regali che facciamo per amore o per amicizia, se non a volte per dovere, ci fosse anche un dono nuovo, un gioco o un maglioncino dentro un pacchetto da scartare, capace di rimandare a chi lo riceve sapore fresco di qualcosa di non ancora utilizzato… Sarebbe bello il nostro Natale se fosse accompagnato dal pensiero di destinare un segno concreto di solidale affetto proprio ai tanti bambini che non avrebbero altro che quello. Dovunque li possiamo incontrare, nelle nostre parrocchie, nei nostri rioni e paesi, nelle nostre scuole, in fila davanti a un cancello del centro città. Sono loro il segno di un Gesù che rinasce nella storia e nel cuore di ognuno.
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