Sono giorni d’umiliazioni prenatalizie. Umiliazioni collettive, oltre che individuali. Anzi, più della collettività che degl’individui, perché gl’individui non danno gran segno di dolersi per quanto gli capita; mentre la collettività ne soffre, in silenzio e talvolta palesemente. Sono giorni d’umiliazioni varie. Prendiamo la storia dei rimborsi regionali: consiglieri che mettevano in conto all’istituzione spese le più varie, e bizzarre, e indecenti. Ma da quali consiglieri siamo rappresentati? E com’è possibile che ci abbiano fregati al punto di farsi votare e poi di farsi gli affari loro? Forse non abbiamo prestato la necessaria attenzione nello sceglierli, e nel controllarne l’agire, e nel cogliere i segni d’un malandazzo che bisognava evitare. Ecco l’umiliazione che ci brucia: quasi un senso intimo di colpa di fronte all’emergere di colpe altrui. Una distorsione della coscienza? Purtroppo no. La coscienza, se è coscienza, prima si carica dei dubbi e poi scarica le responsabilità. La moltitudine ce l’ha, una coscienza; taluni suoi portavoce politici, non ce l’hanno proprio. Anche di fronte allo scoperchiarsi dei sepolcri rifiutano di vedere che cosa c’è dentro: negano e minimizzano. Tipo: eravamo quattro amici al bar, ma che colpa abbiamo noi. Una musica già sentita nei juke-box degli anni Sessanta, e adesso riadattata a un sentire (un sentire di casta) perverso.
Prendiamo una seconda storia, quella dell’inchiesta sulla corruzione nella sanità. Si ipotizzano tangentismi: mazzette pubbliche per ottenere convenzioni private. Il resto, la salute generale, è solo contorno. Ecco l’umiliazione che ci scortica: la persona che conta zero, gli zeri che contano tutto. I soldi, solo i soldi, sempre i soldi, viva i soldi. Ci viene riempita la testa di chiacchiere sul primato dell’essere (della qualità della vita di ciascuno di noi), e poi s’incoraggia l’affermarsi della primazìa dell’avere (del possedere di più, anche se si possiede già tanto). Dovremmo risultare una comunità che si spartisce servizi e sacrifici, e invece siamo una comunità dove circola il sospetto di spartizioni al servizio di pochi. Con costi aggiuntivi, dunque sacrifici, per i servizi che riguardano molti.
Prendiamo una terza storia, quella del piano di governo del territorio non andato a buon fine. Indecisioni, traccheggiamenti, ritardi. In questa legislatura e nella precedente. Eppure Varese è stata governata da una solida maggioranza. C’erano i numeri, non le intese. O la capacità. O che cosa di diverso? Ecco l’umiliazione che ci sbigottisce: non essere riusciti a svolgere un compito di semplice complessità. Perché dare la prospettiva urbanistica a un territorio comporta le sue complicanze, però se l’indirizzo appare chiaro, l’oscurità delle incognite di viaggio svanisce. Si è rimasti invece nell’oscurità, al bando le chiarezze. E si rischia una pericolosa deregolazione, oltre che una paralisi del settore edilizio e mancati introiti tributari pro Comune. Chi ha sbagliato dovrebbe ammettere l’errore, ed emendarsene in concreto; ma questo è il Paese astratto in cui tocca all’errore ammettere d’essersi sbagliato, non all’errante. Perciò rassegniamoci: se tale è il racconto della storia, che cos’altro volete che ci raccontino le cronache prenatalizie?
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