Novafeltria è un grosso borgo che si estende quasi al fondo della Valle del Marecchia nell’entroterra di Rimini, città da cui dista una mezz’ora di auto. Il comune un tempo si chiamava Mercatino Marecchia e fino a qualche anno fa apparteneva a un’altra regione, le Marche, e a un’altra provincia, Pesaro, prima di entrare a fare parte con buon ruolo nell’Emilia-Romagna. Terra del Montefeltro, dunque: uno di quei luoghi in cui meglio si rappresenta ancora l’identità della provincia italiana con i suoi valori antichi e magari anche con i suoi limiti. Non è un caso che Ivan Graziani, il rocker italiano del quale tra qualche settimana si ricorderà il sedicesimo anno dalla scomparsa, l’avesse scelto come buen retiro, come punto di partenza – o di ripartenza, lui che era abruzzese di Teramo – per le sue scorribande nel Bel Paese, e non solo, ma sempre mantenendo salde le radici e un ordine di sicura appartenenza.
Anche nell’ultimo periodo della sua vita, durata appena cinquantuno anni, Ivan Graziani, nonostante la buona fama raggiunta non vi abitava come in una torre d’avorio e non disdegnava di rispondere alle chiamate del telefono, di incontrare giovani, di stare un po’ con loro in amicizia anche solo per chiacchierare.
Ivan era nato agli inizi dell’ottobre del 1945, secondogenito di una famiglia modesta e dignitosa, desiderosa di rifarsi, di dare il proprio contributo di impegno e di serietà nella nuova Italia che usciva da una guerra tragicamente vissuta e perduta. La sua infanzia, la sua adolescenza furono le stesse di quelle di tanti della sua generazione: il gioco del pallone nella strada, le zingarate con gli amici, anche le ore trascorse imbracciando la chitarra e sognando un futuro di successi – cosa che per altro avvenne – e poi lo studio, la scuola da cui la mamma e il papà non volevano che in qualche modo si derogasse. I suoi sogni, la sua creatività Ivan li orientò frequentando l’Istituto d’arte di Ascoli Piceno e poi la Scuola di arti grafiche di Urbino. Ivan Graziani risultò infatti un artista completo, talentuoso nella chitarra e bravo anche nel tenere in mano le matite e i colori.
Ma se la sua genesi e la sua storia sono state quelle del giovane capace di fare fruttare i propri talenti, tanto da attraversare alla grande in campo musicale e artistico la seconda metà degli anni Sessanta – l’epoca del beat – e poi tutti i Settanta, gli Ottanta e buona parte dei Novanta, prima che la malattia ne ghermisse e soffocasse la vitalità, Ivan si caratterizza soprattutto nel sapersi gestire e presentare per quello che è: un ragazzo, un uomo che mai dimentica il valore dell’amicizia, della lealtà e della famiglia; il ragazzo di provincia che era, che è sempre stato; diciamolo, di quella provincia italiana antica e contadina che rappresenta ancora oggi il meglio cui si dovrebbe aspirare, mentre molti ne vorrebbero invece la dissoluzione. I nomi dei personaggi con i quali Ivan Graziani è stato legato, per le sue capacità e per la sua arte musicale, ma specie per l’amicizia disinteressata, sono significativi: dal varesino Hunka Munka, alias Roberto Carlotto, musicista innovatore e geniale, al grande Lucio Battisti, anch’egli figlio timido e virtuoso della provincia; da Herbert Pagani, straordinaria e solitaria voce artistica, ad Antonello Venditti, guida e riferimento dei cantautori romani; a Renato Zero; a Andrea Mingardi…
Ivan Graziani è passato come una meteora per quasi un quarto di secolo della nostra storia musicale, senza mai abbagliare, forse; una meteora che però ha lasciato una scia di luce personalissima, perfettamente visibile soltanto a chi ha la sensibilità di coglierla. La sua discografia è vasta. Quella preziosa miniera rappresentata oggi da Youtube ci aiuta a ricordarne l’arte e a sottolinearne l’eccellenza; e ci soccorrono anche i figli Tommaso e Filippo e la moglie Anna, che ne hanno perpetuato la conoscenza secondo i crismi della solidarietà famigliare, così cari a Ivan. Ma vale citare almeno tre brani, tre ballate famose che bene sintetizzano i valori descritti: “Pigro”, “Agnese” e soprattutto quella perla di luce – scoperta alla fine degli anni Settanta – che è “Lugano addio”, un inno alla nostra storia, anche sentimentale: “Le scarpe da tennis bianche e blu / Seni pesanti e labbra rosse e la giacca a vento / Oh! Marta io ti ricordo così / Il tuo sorriso e i tuoi capelli fermi come il lago… / Eh mio padre sì, tu mi dicevi / Quassù in montagna ha combattuto / Poi del mio mi domandavi / E io pensavo a casa / Mio padre fermo sulla spiaggia / Le reti al sole i pescherecci in alto mare / Conchiglie e stelle / Le bestemmie e il suo dolore…”. Poche altre canzoni hanno saputo – sanno – trasmettere una poesia tanto forte, intensa. Come quei versi premonitori della canzone “Il Chitarrista”: “Signore è stata una svista / Abbi un occhio di riguardo / Per il tuo chitarrista…”.
Ivan Graziani è morto a Novafeltria l’1 gennaio 1997. È stato sepolto con una delle sue chitarre – una Gibson – e il giubbotto di pelle nero da rocker.
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