Non figura neppure nell’elenco dei provvedimenti destinati a finire nel cestino della carta straccia con la morte, a firma Silvio Berlusconi per interposto Angelino Alfano, dell’attuale legislatura. Non ne parlano i politici in tutt’altro affaccendati e non ne parlano neppure i media del disegno di legge “Salva – paesaggio” messo in cantiere dal governo Monti nel settembre scorso. Il che la dice lunga sul fatto che in Italia la sensibilità, in una materia decisiva come questa, resti sostanzialmente confinata nei recinti di minoranze informate, battagliere e nulla più. Eppure i disastri propiziati o resi più micidiali da un uso sconsiderato del territorio hanno raggiunto una frequenza impressionante con costi umani ed esborsi per interventi emergenziali ormai insostenibili. Ne vale dimostrare che, cifre alla mano, la manutenzione e la prevenzione siano molto più vantaggiose da tutti i punti di vista. A parole sempre tutti d’accordo, nel concreto è una gara a mettersi di traverso – Regioni in primis – accampando i più svariati motivi. Può darsi che il disegno di legge del ministro dell’agricoltura Mario Catania non sia la “Magna Carta” del territorio, che sia largamente da emendare o addirittura da riscrivere, ma resta comunque un passo avanti rispetto al silenzio e al totale vuoto di proposte dei precedenti governi.
Bastano del resto poche cifre per farsi un’immagine del disastro cui una legge con carattere d’urgenza, nell’immediato futuro, dovrebbe porre rimedio o quanto meno contenere. Dal 1950 la popolazione italiana è cresciuta del 28% mentre la cementificazione è aumentata del 166%, ogni giorno cento ettari di terreno spariscono, in un anno una superficie pari al doppio di Milano risulta impermeabilizzata. Lo stesso Monti in un recente convegno ha sottolineato che “la superficie destinata a terreno agricolo è passata negli ultimi quaranta anni da diciotto a tredici milioni di ettari”. Neppure le aree più fertili come la Pianura Padana si sono salvate al punto che l’Italia ha perso la sovranità alimentare e i suoi consumi dipendono in larga misura dalle importazioni. Tra il ’71 e il 2010 sono stati sottratti all’agricoltura cinque milioni di ettari, vale a dire una superficie equivalente a Lombardia, Liguria ed Emilia Romagna.
Nella classifica nazionale delle Province divoratrici di territorio al primo posto c’è Monza – Brianza, un caso emblematico, seguita da Napoli, Milano e al quarto posto la “verde” Varese, poi Trieste e via via tutte le altre. Le cause che hanno fatto degli italiani i maggiori consumatori di suolo sono molteplici, tra le più determinanti: il tumultuoso sviluppo post bellico; l’assenza di una cultura urbanistica tra le elite politiche subalterne al potere economico; il mancato controllo della rendita fondiaria nei centri storici; piani regolatori permissivi ispirati talvolta da architetti che hanno utilizzato i suoli come laboratori di demenziali sperimentazioni; gli oneri di urbanizzazione come risorsa utile per i Comuni per far fronte alle spese correnti fino al 50%; l’abusivismo edilizio consentito, spesso propiziato, dalle Amministrazioni locali e benevolmente tollerato dai governi centrali.
In buona sostanza stiamo marciando verso un territorio dove non ci sarà più un paese o un borgo, una cittadina, in mezzo alla campagna ma al contrario un francobollo di campagna affogato in un territorio urbano più o meno sgangherato.
Mentre da vent’anni l’Europa più avveduta (Germania, Francia, Gran Bretagna ) sta correndo ai ripari, l’Italia continua a dissipare risorse come la cicala della ben nota favola.
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