Poco più di un anno fa la politica constatava l’impossibilità (o l’incapacità) di realizzare le riforme sottoscritte da Silvio Berlusconi con l’Europa per impedire al nostro Paese di seguire il “default” della Grecia. I maggiori partiti stabilivano una “tregua” per portare a termine un programma di rigore per rimediare alla “allegra finanza” dei decenni precedenti che aveva portato l’Italia ad accumulare un enorme debito che sconsigliava i mercati ad investire da noi se non a tassi di interesse altissimi. Si sapeva che il prezzo da far pagare alla gente era altissimo e che i provvedimenti di austerità avrebbero accentuato la recessione economica e la disoccupazione, ma era quella l’unica strada per non precipitare nel baratro del fallimento e, contemporaneamente, realizzare alcune riforme per diminuire la spesa pubblica improduttiva, razionalizzare il mercato del lavoro, mettere ordine al sistema pensionistico in vista della sua futura sostenibilità, eliminare la corruzione dilagante.
L’energica azione del nuovo premier Mario Monti, economista di fama e già commissario europeo, aveva suscitato il consenso e l’ammirazione dei partner europei e del presidente americano Obama da cui l’Italia ha ricevuto attestati di affidabilità: per la prima volta dopo lungo tempo c’era una “governance” efficace e un nuovo stile di “far politica” che faceva ben sperare nel superamento dell’emergenza, pur nella consapevolezza che le leggi abbisognano di un lungo periodo di tempo per dispiegare i propri effetti e che in politica non esiste la “bacchetta magica” ma serve coraggio, impegno, coerenza; soprattutto serve adoperare verso i cittadini il linguaggio della verità e non illuderli con promesse demagogiche.
L’Italia sembrava avviarsi a ridiventare un “Paese normale”, i partiti facevano un passo indietro impegnandosi a cambiare la legge elettorale, a diminuire i costi della politica con la riduzione dei rappresentanti nelle istituzioni, dei loro emolumenti, vitalizi e privilegi e lo snellimento della macchina burocratica costosa e poco efficiente. Mentre il “governo dei tecnici”, pur con qualche errore causato da inesperienza (anche sulla base dei dati inattendibili forniti dalla pubblica amministrazione sugli “esodati”), lavorava con serietà, i partiti non realizzavano quasi nulla di quanto promesso. In particolare i mesi estivi sono stati caratterizzati dal “tormentone” dell’ex “premier” che continuava a cambiare idea circa il suo futuro politico; proprio il recente annuncio di Silvio Berlusconi di voler nuovamente scendere in campo (a settantasei anni compiuti e per la sesta volta) ha costretto il PDL, di cui è padre e padrone, ad una svolta clamorosa. Il Popolo della Libertà si è rimangiato gli accordi presi e il giudizio sull’ “agenda Monti” e ha sfiduciato il governo in maniera offensiva. Monti ha preannunciato le dimissioni prima di Natale non appena sarà votata la legge finanziaria di stabilità per mettere in sicurezza i conti pubblici, ma l’ Europa è rimasta basita e solo l’osservanza delle forme diplomatiche ha frenato i governi il cui pensiero è stato però reso noto dalla stampa indipendente: ma che Paese è questo che pretende di essere aiutato dall’Unione ma non ne segue le politiche concordate, anzi alcune forze politiche, chiaramente populistiche, si lanciano in una spregiudicata campagna anti-euro?
Una sintesi chiara ma severa della situazione è stata quella tracciata dal Cardinale Angelo Bagnasco nella intervista al “Corriere”: “Un anno fa il problema era di mettere in sicurezza l’Italia in una crisi di sistema a lungo sottovalutata e di fronte ad una classe politica dirigente incapace di riforme effettive. Il governo tecnico ha messo al riparo da capitolazioni umilianti. Non si possono mandare in malora i sacrifici di un anno”. Il Presidente della C.E.I. ha ben individuato che “la radice della crisi non è solo economica ma morale. Per troppo tempo i partiti sono stati incapaci di pervenire a decisioni difficili e a parlare ilo linguaggio della franchezza e non quello della facile demagogia”.
Il pericolo che abbiamo di fronte è infatti quello di una velenosa campagna elettorale in cui il ragionamento, la valutazione dei programmi, le prospettive da individuare in base alla complessità sociale siano sostituiti dalla polemica, dagli insulti, dalla demagogia, dalla logica dell’appartenenza fideistica.
Il populismo può trascinarci in una fasulla e pericolosa campagna anti-euro che può allontanare l’Italia dal vincolo di solidarietà con i Paesi europei e con la stessa America. Sarebbe il colmo se la dura lezione che la Grecia ha imparato dal precedente lassismo non venga assimilata dall’Italia che pure ha condizioni obiettive migliori. C’è però anche la speranza che l’attuale sistema bipolare che, a differenza delle altri grandi democrazie, si incentra su fazioni spesso di natura estremista possa essere in parte neutralizzato da un “centro” responsabile e moderato che potrebbe essere guidato dall’attuale “premier” che, dopo il disimpegno della destra, ha le mani libere.
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