Che cosa non possono le difficoltà e l’emergenza. A Verbania si sono incontrati gli amministratori delle due sponde del Lago Maggiore per discutere in concreto del futuro dell’area. Non chiacchiere qualunque, vaghe, futuranti. Parole di sostanza, rivolte al presente. Varese, Novara e VCO si sono interrogate a sufficienza sulle possibilità di collaborazione, e finalmente hanno convenuto che è l’ora di passare ai fatti: pochi e praticabili progetti. Un’ora scoccata, con paradossale tempismo, dopo l’annunzio ministeriale che le tre province non saranno più tali, ma divise e ricomposte in diverse entità burocratico-territoriali. La decisione che, dopo aver indotto alla scoramento e alla protesta, sembrava dover indurre all’attendismo se non alla paralisi, ha invece mosso lo spirito d’iniziativa.
Il ragionamento pare il seguente: siccome i due grandi agglomerati che si prefigurano (VCO con Novara, e Varese con Como e Lecco) trascurano la chance dell’esistenza operativa d’una rete insubrica, le voci locali intendono levarsi e fare coro dimostrando che un ente può tra di loro esserci anche fuori del perimetro dell’ufficialità, dei nuovi confini fissati dallo Stato, della mezza rivoluzione provinciale avviata per mancanza del coraggio di compierne una intera. Se prima si poteva disquisire accademicamente d’Insubria, al riparo dall’incalzare dell’urgenza, ora se ne argomenta in modo pragmatico, spinti dalla necessità di far da soli sotto traccia ciò che dall’alto non ci si perita di fare.
Vengono meno, d’un botto, le obiezioni particolaristiche. I campanilismi tenaci. Le partigianerie plurisecolari. Ieri il sindaco di Verbania Marco Zacchera ha dichiarato: “Da sempre il Lago Maggiore gravita maggiormente su Milano e sulla Lombardia piuttosto che su Torino e sul Piemonte. In questo momento non vogliamo occuparci di unificazioni formali o di referendum che hanno tempi lunghi, ma di mettere concretamente le basi da subito per una collaborazione su tutti i temi possibili”.
Il Lago Maggiore, dunque, non come barriera ma come trait d’union. Risorsa anziché ostacolo. Altro che spondisti magri e spondisti grassi, gli uni gelosi di se stessi e gli altri idem: piuttosto il contrario. Varesini, novaresi e verbanesi (per non dire degli svizzeri) ben contenti di mettere pragmaticamente in comune identità non affatto destinate a restar chiuse in sacrari inespugnabili. Una convinzione non inedita, a dire la verità. Anzi, antica. Ottant’anni fa un benemerito della varesinità come Giovanni Bagaini, fondatore e per quarant’anni direttore della Cronaca Prealpina prima d’esservi ignobilmente cacciato dai fascisti, propose di lanciare un avveniristico ponte tra Laveno e Intra. L’idea fu bocciata non perché attentatrice dell’intangibilità ambientale né perché eccessivamente visionaria, ma perché ad avviso dei più non sussisteva ragione di stringere il rapporto tra le due rive del Verbano. Una topica colossale: quel ponte avrebbe creato l’Insubria con quasi un secolo d’anticipo rispetto ai desiderata odierni. Che oggi, sediovuole, sembrano aver imboccato il simbolico ponte del realismo e dei ragionevoli accordi: non è mai troppo tardi per rimediare agli errori. Ai pregiudizi. Al dormire privo di sogni.
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