“Se la pioggia mi bagna, se il sole mi scalda, / io son tanto felice perché amo di più…/ Io ti ringrazio tanto / d’avermi dato il sole / d’avermi dato il grande mare blu…”. Forse non saranno stati versi di un grande della lirica italiana – e anche gli accordi non erano particolarmente impegnativi per un principiante della chitarra – ma la canzone “L’amore” (1965) di Don Backy, al secolo Aldo Caponi (Santa Croce sull’Arno, 1939), in quella speranzosa metà degli anni Sessanta riscaldava il cuore. Anzi, di più. Fatto ascoltare oggi il brano a un giovane e bravo musicista, che allora (solo per una questione di età) non bazzicava i juke-box e i negozi di dischi, questi se n’è uscito con la frase: “Sì, è un pezzo molto bello. Sembra quasi una preghiera”.
Chi scrive, per via generazionale, appartiene alla schiera di fan “donbacchiana”. Molti anni fa (Festival di Sanremo 1968), quando divampò una querelle tuttora irrisolta, almeno sul piano della solidarietà amicale, tra Don Backy e Adriano Celentano a causa di interessi maturati e non riscossi nei cimenti del Clan, capitò di parteggiare senza esitazioni per il Don, benché nella vicenda l’uno (Celentano) apparisse come l’Achille e l’altro (Don Backy) come l’Ettore. Intendiamoci, non che Celentano non sia un personaggio importante nella storia della canzone. Ma se si dovesse dare di lui un giudizio conclusivo (l’opinione, è ovvio, è del tutto personale) si potrebbe dire: il più grande, il più furbo. Ed è singolare che l’Adriano, che in tutto questo tempo ha spadroneggiato in Tv e fuori di essa talvolta cantando e – soprattutto – parlando dei più svariati temi (l’ambiente, la pace, l’economia, l’Amicizia con la a maiuscola), mai una volta – dicasi una – si sia soffermato a ricordare in termini di simpatia l’antico luogotenente del Clan (il Clan Celentano, appunto), lo sparring partner canzonettistico. È evidente che tra loro è rimasto qualcosa di ruvido, di rugginoso, sempre. Il che contrasta, oltre che con le buone aspirazioni, anche con gli anni che passano. Almeno in questo caso il tempo non è medico.
Le qualità di Don Backy, e ce ne si può rendere conto anche leggendo i suoi libri (dal giovanile “Io che miro il tondo”, scritto nel ’67 per Feltrinelli, alle più recenti autobiografie storiche, come i due volumi “Questa è la storia-1955/1969 – Memorie di un juke.box” e “Storia di altre storie -1970-1980”, pubblicati entrambi dalla casa editrice autoctona Ciliegia Bianca), rispetto all’Adriano, sono tutt’altre e più genuine, naives: la sincerità, innanzitutto, talora l’ingenuità; una passione sconfinata per la propria arte (è stato anche decoroso – con qualche cedimento – attore di cinema) e per il proprio lavoro che continua a fare (e bene, come Celentano del resto) a settant’anni suonati, anche se con un seguito popolare più ristretto rispetto all’ex capo del Clan.
Del “toscanaccio” Don Backy ha forse ancora qualche asperità di carattere, ma sono ben lontane da lui le furberie e le filonerie. Lo si definirebbe un “anarchico sentimentale”; quindi niente prediche, niente ammiccamenti parapolitici, niente elucubrazioni filosofiche. Piace al Don muoversi da solo in un campo esclusivamente letterario e musicale. Con qualche griffe subito riconoscibile, per esempio quella di avere firmato la stragrande maggioranza delle sue canzoni più importanti e più conosciute con una parola sola (Cara, 1964; l’Amore, 1965; l’Immensità, 1967; Poesia, 1967; Canzone, 1968; Sogno, 1968; un Sorriso, 1969; Nostalgia, 1970; Cronaca, 1970; Fantasia, 1971…).
Dai suoi lavori (e soprattutto i suoi libri ne sono una prova) esce un’indicazione tradizionale di valori quali la famiglia, la lealtà, il senso del dovere, l’amore filiale e coniugale (la sua compagna, Liliana, l’ha sempre chiamata Lilith, come la moglie di Tex Willer… ), il tono un po’ fanciullesco e generoso. Insomma, la poesia tout-court.
In una sua canzone non notissima (Regina, 1983) Don Backy ha scritto: “Vorrei amare una sola regina / quella ragazza che chiusa sta / nella canzone di Paoli che dice così / quando sei qui con me questa stanza pareti non ha…”.
Solo una canzone? Forse di più: una storia, e un ricordo antico. Tanti ricordi.
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