Aggiornamento in corsa sulla versione anni duemila del “Battaglione dell’Orologio” quello che l’8 settembre del ’43 pensò bene di riparare in Svizzera in attesa che la bufera passasse. Ne avevo scritto un mesetto fa.
Ci sono cittadini italiani che disponendo di fior di denaro, presumibilmente già depositato da anni nelle banche svizzere, dunque evasori a tutti gli effetti – che poi sono quelli che si stracciano le vesti e si cospargono il capo di cenere perché butta male – possono mettere sul piatto, per avere un’idea, 25 mila franchi svizzeri (20.800 euro) per comperare un metro quadrato di appartamento nel centro di Lugano.
Costoro per avere il domicilio non devono far altro che dimostrare di essere proprietari o affittuari di una casa e il gioco è fatto anche se l’occhio del fisco italiano è in agguato. Una recente sentenza della Suprema Corte di Cassazione ha stabilito che la residenza all’estero è tale quando nel Paese scelto siano, nello stesso tempo, presenti gli interessi economici ma anche quelli familiari. Insomma che non sia manifestamente una palese dimostrazione d’illegalità, dunque un giochino, e che la residenza non abbia il sapore di una “scelta di comodo”. Come coniugare le due esigenze?
Si tratta di raffinatezze giuridiche per cercare di mettere il bavaglio a questa gentaglia che, messa sull’avviso da una Guardia di Finanza superattrezzata e da mesi affidata a un generale a quattro stelle, “mago “ fra i tributaristi, nominato da Monti (il ministro di riferimento) sta già pensando di lasciare la nobile Helvetia per raggiungere i più tranquilli e irraggiungibili paradisi fiscali di berlusconiana memoria.
Torniamo a noi con qualche dato. L’immigrazione “di lusso” è cristallizzata da un dato: dall’inizio del 2011 il “Battaglione dell’Orologio”, versione 2000, conta di seimila italiani, varesini, comaschi, milanesi, brianzoli, romani, che, acquistando un immobile di qualità diversa (appartamento o villa sul lago), hanno di fatto trasferito la loro residenza dall’Italia alla Confederazione.
La ragione prima è sempre la solita: mettere al riparo dal fisco il proprio patrimonio. Roba che accade da sempre: ricordo con disgusto un industriale varesino doc, morto da anni, che il sabato sera si faceva preparare dalla sua segretaria – amante dei bei pacchettini in cartoncino colorato di migliaia di lire con nastro colorato incorporato, che portava, con famiglia al seguito, dalle parti di St. Moritz dove possedeva una villa per il sacrosanto week-end. Ora la tecnica si è raffinata: al posto dei pacchettini uso-dono si acquista il cemento.
Il bravo Claudio Del Frate del “Corriere della Sera” ha fatto giorni fa un giretto in Canton Ticino e ha confermato in pieno i nostri precedenti assunti.
I seimila italiani diventati svizzeri per via del domicilio ci sono proprio tutti. Non è un numero a casaccio e non è un numero modesto. La conferma viene dal Consolato italiano di Lugano, una volta dedito per i cicli della storia a trovare un tetto e un lavoro a un nostro emigrato, a tutelarlo dagli eccessi xenofobi o, ancora più indietro nel tempo, a garantire che, in questo caso il rifugiato, fosse ospitato nei campi d’internamento per non finire nelle braccia dei nazifascisti (anche allora chi mostrava di possedere un po’ di denaro per mantenersi, poteva vivere fuori dal campo).
I seimila italiani “residenti – acquirenti di cemento a prezzo d’oro” emergono dall’iscrizione all’Aire, il registro degli italiani residenti all’estero. Il fenomeno è favorito da un vento equatoriale tanto cresce nel tempo: nel 2010 gli italiani che erano giunti a Lugano e dintorni erano poco più di settecento a confronto di sessantamila abitanti luganesi e circa trecentomila nel Cantone. Un’enormità già allora, qualcosa di inimmaginabile oggi.
L’adesione della Confederazione nel 2009 al Trattato di Schengen sulla libera circolazione delle persone ha favorito il fenomeno. Chi si vuole trasferire a Lugano o a Locarno non deve fare altro che dimostrare di avere i requisiti di legge. Essere dei padroni o essere affittuari, il che comporta, per paradosso, una condizione finanziaria ancora più robusta. L’altra condizione è che l’italiano transfuga deve dimostrare di avere interessi commerciali e/o industriali e familiari in Svizzera il che non è sempre facile ma alla fine com’é noto ogni norma permette di trovare una via di fuga.
Le case, alla faccia dei prezzi, vanno intanto a ruba: le case acquistate a Lugano nel 2011 sono state circa quattromila contro le circa tremila del 2010. Monolocali in periferia che l’italiano affitta, appartamenti in centro città, magnifiche ville in zona Paradiso o in collina in cui ci vive.
L’ultimo interrogativo, ripeto, è quello che probabilmente nasconde il vero motivo dell’operazione. Frodare il fisco. Una furbata su cui le nostre autorità stanno meditando alcune contromosse. E questo è il punto. La possibilità di accordi fiscali tra Italia e Svizzera ha smosso le acque.
Il fatto che il governo Monti, a dire il vero non in maniera troppo veloce, stia valutando la possibilità di tassare i capitali illegalmente portati in Svizzera nei decenni scorsi depositati in banca (come hanno già fatto, per la loro parte, alcuni Paesi dell’Unione Europea) ha rappresentato un formidabile incentivo a “mattonizzare” il denaro. Basterà? E quale dovrà essere il livello tributario per chiudere il contenzioso: il 20, il 30 o il 40%? A quali condizioni l’italiano in fuga potrà mettersi una mano sul cuore e un’altra su portafogli, abbassare la testa e accettare il colpo di mannaia? Pare, dico pare, molto più probabile, che si stia valutando di puntare su un altro cavallo che sulla carta appare vincente al canto melanconico degli amici anarchici: “addio Lugano bella, migro verso altri lidi”.
You must be logged in to post a comment Login