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Chiesa

CONCILIO E RIFORMA LITURGICA

VEZIO ZAFFARONI - 23/11/2012

La "Chiesa dell'autostrada" a Firenze di Michelucci

Una importante e significativa innovazione portata dal Concilio Vaticano II, espressa nella costituzione dogmatica “Sacrosanctum Concilium”, fu il rinnovamento liturgico e il modo di celebrare riti e sacramenti. Vale la pena ricordare che questi “moti di rinnovamento” fanno da sfondo ad un Concilio di carattere pastorale, interessato cioè ad aggiornare ai tempi le forme cristiane ed ecclesiali, a far sì che la dottrina fondamentale della Chiesa possa penetrare e formare le coscienze, che sia approfondita e presentata in modo che risponda alle esigenze del tempo presente.

Ciò interrompeva l’impostazione del passato che vedeva il magistero ecclesiastico preoccupato in primis di denunciare errori o travisamenti delle verità cristiane e di pronunciare condanne.

Occorre dire che da almeno cinquant’anni prima del Concilio si stava lavorando al rinnovamento della liturgia nella Chiesa. In questo senso significative sono, per esempio, l’opera di Rosmini “Le cinque piaghe della Chiesa” in cui egli lamentava la divisione esistente nell’atto del culto: clero da una parte, fedeli dall’altra; o l’enciclica “Mediator Dei” di Pio XII in cui si delinea una visione della liturgia come “mezzo” dato alla Chiesa per continuare l’azione di Cristo sacerdote che offre se stesso a Dio. Interessante notare come in questa enciclica la presenza di Cristo nella liturgia è posta in relazione con la presenza della Chiesa nella liturgia: si tratta di azione della Chiesa in Cristo e per mezzo di Cristo e di Cristo nella e per mezzo della Chiesa.

Lo sfondo che porta alla “Sacrosanctum Concilium” è la consapevolezza che la fedeltà a Dio è possibile solo attraverso la mediazione della Chiesa nella celebrazione liturgica.

Un dato fondamentale che emerge dal documento conciliare è che l’umanità e la divinità di Cristo sono il primo sacramento della nostra salvezza e che, pertanto, i sacramenti che si celebrano si fondano sul mistero dell’incarnazione, della morte e risurrezione del Verbo di Dio.

Nella liturgia l’esercizio del “sacerdozio di Cristo” avviene attraverso segni tangibili; in essa Cristo attua e porta a compimento l’opera della nostra salvezza grazie al fatto della presenza di Cristo stesso e dà significato alla nostra capacità di rendere culto a Dio. Inoltre la Parola di salvezza, per l’oggi storico, è quella proclamata nella liturgia. Per dirla con un’affermazione di Salvatore Marsili, uno dei teorici della riforma conciliare, la liturgia è l’ultimo momento della storia della salvezza perché attua, attraverso i sacramenti, specialmente l’Eucarestia, il mistero di Cristo e lo rende presente nell’oggi.

Da queste considerazioni derivarono alcune indicazioni operative con l’intento che” in tale riforma l’ordinamento dei testi dei riti deve essere condotto in modo che le sante realtà siano espresse più chiaramente, il popolo cristiano, per quanto è possibile, possa capirne più facilmente il senso e parteciparvi con una celebrazione piena, attiva e comunitaria” e che, pertanto, da una parte i pastori d’anime devono vigilare affinché ci siano tutti gli elementi necessari per una celebrazione valida e ben fatta, dall’altra i fedeli vi prendano parte in modo consapevole, attivo e fruttuoso.

Una conseguenza di questa azione riformatrice fu quella di rivedere a fondo la forma dei riti della messa affinché la celebrazione ottenesse sempre più la sua efficacia pastorale. Fondamentalmente furono due i criteri stabiliti: una celebrazione in cui risultasse più facile ai fedeli capire la natura peculiare delle singole parti e in cui fosse agevolata la fervente e attiva partecipazione dei fedeli. Si stabilirono le strade da percorrere: la semplificazione dei riti senza perderne la sostanza, l’omissione dei “doppioni” rituali o di aggiunte non utili e il ripristino di riti e preghiere della tradizione eucaristica antica andati persi nel corso dei secoli. Si parlò di una maggior ricchezza biblica nella celebrazione eucaristica, si ripropose l’omelia come parte integrante della celebrazione stessa pur dosandola nel rispetto e nell’armonia delle altre parti della messa, si legiferò sul ripristino della preghiera dei fedeli dopo il Vangelo e l’omelia in modo particolare la domenica e nelle feste di precetto e si ricordava ai fedeli l’importanza della comunione sacramentale come la partecipazione perfetta al sacrificio eucaristico. Si dipanò inoltre il problema della lingua da usare nelle celebrazioni e le assise conciliare si espressero per un’apertura alla lingua volgare con un uso più o meno ampio a secondo dei luoghi senza rinunciare pienamente al latino lingua ufficiale della Chiesa.

Lo spirito conciliare riformatore della liturgia a distanza di cinquant’anni non può dirsi completamente recepito o che abbia prodotto tutti i suoi frutti. Occorre evitare alcuni eccessi o arbitrari passi in più nelle celebrazioni; è necessario approfondire il significato della liturgia come azione nella quale si attualizza il mistero di Cristo. Le nostre comunità devono ancora recepire appieno il nesso “mistero pasquale – liturgia” e tutte le potenzialità che racchiude.

L’annuncio della Parola, nell’epoca attuale mediatica e basata su internet, si trova di fronte a sfide completamente diverse rispetto ai tempi del Concilio: questa Parola, per essere ascoltata dagli uomini di oggi, passa anche attraverso questi strumenti. Va riscoperta la domenica come giorno della famiglia, della comunità, della festa, del ringraziamento: l’uomo smette di essere una persona produttiva, un soggetto che manipola, calcola, costruisce, per diventare uno che mette in gioco relazioni, creatività, ascolto, prossimità e solidarietà nei confronti degli altri. Soprattutto non va dimenticato che al centro c’è l’Eucarestia celebrata nell’attesa della venuta del Signore, anticipo della gioia senza fine dell’ultimo giorno, alla fine dei tempi.

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