Si è parecchio discusso in un passato più o meno recente di valori non negoziabili, escludendo la possibilità di una scelta puramente individuale in ordine a problemi come quelli dell’interruzione volontaria della gravidanza, della procreazione medicalmente assistita, delle decisioni mediche sul fine vita, ma il discorso si potrebbe allargare ad esempio dal punto di vista della tutela della famiglia fondata sul matrimonio. E si è trattato di valori non oggetto di scambio o di negozio nel seguire un programma ideale ispirato all’identità cristiana. Il centro-destra si è presentato come l’approdo più coerente su questi temi, mentre invece il centro-sinistra è stato accusato d’essere il portavoce del relativismo, di una cultura radicale della vita. La lista chiusa dei valori è parsa spesso strumentale ed opportunistica ed esibita come se si trattasse di un programma politico in difesa di particolari scelte su temi specifici, non riconducibili essenzialmente all’inviolabile dignità della persona umana. E per rivalsa dall’altro fronte ecco insistente il rilievo che si trattasse di posizioni reazionarie o per lo meno conservatrici, ben lontane da orizzonti di progresso e di riforma. Certo è che rivendicare un’autonomia della politica da un fondamento etico significa solo impoverire il concetto di democrazia.
Non negoziabile comunque non vale a dire non argomentabile e la razionalità deve presiedere al dibattito sul pubblico riconoscimento dei valori e la loro realizzazione sul piano sociale. Qui si deve dimostrare la capacità dei cattolici nella funzione di mediazione della politica di perseguire il riconoscimento condiviso della dignità della persona, senza imposizioni o scomuniche, ma convincendo. Nell’ambito etico-teologico principio indica un’istanza necessariamente formale e piuttosto astratta rispetto alle sfide concrete, in cui si impegna la libertà. Qui vale la promozione della persona umana in nome della natura stessa della persona, ma il termine natura è stato letto nella storia con significati differenti, mentre bisogna giungere a definirne il carattere di universalità ed autoevidenza.
Nella filosofia contemporanea è largamente diffusa una concezione soggettivistica dei valori, ma questi sono mere proiezioni di desideri ed interessi umani, oppure si tratta di oggetti ideali che sussistono indipendentemente da questi secondo un ordine axiologico oggettivo? Non è in causa uno scopo da realizzare, quanto un fine in sé sussistente. È il teorema della dignità umana che costituisce un fondamento stabile, cui si devono ancorare i valori e in relazione al quale sostenerne e difenderne l’oggettività.
Riferendoci ai modelli del rapporto tra etica e politica per i proceduralisti l’etica si caratterizza nei termini dell’etsi deus non daretur (come se Dio non esistesse) secondo una razionalità autonoma che prescinde da giustificazioni religiose o metafisiche: i credenti siano liberi di agire secondo le loro convinzioni, senza pretendere di imporle ad altri mediante le leggi. Per i giusnaturalisti che professano l’assioma agere sequitur esse (l’agire segue l’essere) il compito dei politici è di stabilire leggi positive conformi al diritto di natura conosciuta dalla ragione (le leggi imperfette, anche se obbligano dal punto di vista giuridico, chiamano in causa l’obiezione di coscienza). Per Habermas si pone il problema di un’etica comunicativa, che mantenga uno spazio linguistico tra soggetti liberi e moralmente uguali; lo Stato rispetti in modo ideologicamente neutrale etiche, religioni, metafisiche. Ricoeur riconosce infine un nesso inscindibile tra giustizia e vita buona in un contesto democratico e plurale.
Ci troviamo di fronte alla posizione di quanti non ammettono compromessi in politica sui valori non negoziabili rispetto ad altri che lasciano spazio alla mediazione, per evitare l’anarchia totale, ricercare il bene possibile, porre un freno a possibili degenerazioni. Importante è che si evitino laceranti e profonde spaccature nel Paese, che si rispetti l’autonomia delle realtà secolari secondo scienza ed esperienza, escludendo rigide separazioni tra la categoria della fede e quella dell’azione, come le orgogliose chiusure dell’autosufficienza. Valga il criterio della mutua carità tra le due posizioni. C’è un’identità da incarnare non rivendicandola solo per sé, ma nel pluralismo delle situazioni, giorno per giorno. Anche questa è una lezione del Concilio.
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