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Politica

L’OFFERTA CENTRISTA CONTRO I RADICALISMI

CAMILLO MASSIMO FIORI - 23/11/2012

La proposta di un movimento civico, di un contenitore della società civile, pensato da alcune associazioni del mondo cattolico e da esponenti dell’imprenditoria, nasce dall’esigenza di articolare la politica italiana non solo attraverso un polo di destra ed uno di sinistra, ma anche con l’offerta di un’aggregazione di centro che in tutte le democrazie rappresenta un’alternativa alla radicalizzazione dello scontro politico.

Il centro è una categoria della politica diverso dai poli estremi, il cui disconoscimento reciproco rompe il senso di appartenenza alla comunità, e da almeno un secolo rappresenta, con alterne fortune, la nostra storia.

La “convention” che ha raccolto a Roma, sabato 17 Novembre, una larga rappresentanza di cittadini interessati a proporre per le prossime elezioni una offerta politica più completa, che il bipolarismo radicale aveva represso, non fa mistero di guardare a Mario Monti come allo statista che può dare, oltre l’emergenza, una nuova dignità alla politica. Il “premier”, quando avrà concluso l’esperienza del governo tecnico sostenuto da una fragile maggioranza “bipartisan”, può aprire una stagione completamente diversa da quella precedente che ha visto i partiti coinvolti in una perdita di credibilità da parte dei cittadini.

È naturale che al nuovo centro guardino i cattolici che per vocazione e tradizione si sono sempre tenuti lontani dalle forme di radicalizzazione della politica; sarebbe tuttavia un errore pensare che il nuovo soggetto politico rappresenti la rinascita della Democrazia Cristiana o del movimento cattolico democratico che ebbero motivazioni diverse e finalità differenti rispetto a questa iniziativa.

La ragione per cui è nata la D.C. era la riforma dello Stato e il rinnovamento della società: la sua cultura è stata caratterizzata storicamente dalla volontà di realizzare la convivenza civile non sulla base di pura e semplice regolazione degli interessi ma sul fondamento di un nucleo di principi, di valori, di idee. È vero che la D.C., dopo la tragica scomparsa di Aldo Moro, aveva smarrito la sua tensione ideale e la sua capacità innovatrice ma la linea politica democristiana esigeva una trasformazione strategica dell’elettorato nella condivisione di un progetto di cambiamento che ha dovuto fare i conti con la realtà della arretrata società italiana, con i vincoli della “guerra fredda”, con la necessità di governare un Paese dilaniato dagli “opposti estremismi”, con gli stessi limiti del mondo cattolico.

La dirigenza democristiana, salvo quella dei tempi della decadenza, era più avanti del suo elettorato e l’orizzonte ideale del partito non era nato per limitarsi ad amministrare l’esistente. Le profonde trasformazioni intervenute e l’impetuoso processo di secolarizzazione non si sono però accompagnate con il necessario sviluppo della coscienza politica del popolo italiano; venuta meno la forza morale si consolidarono fenomeni negativi come il clientelismo, la lotta fra le correnti, la caccia ai finanziamenti che portarono ad una logica di privatizzazione del potere e alla disistima verso il partito cristiano. Non è un caso che, scomparsa la Democrazia Cristiana, le stesse logiche di potere e, spesso, lo stesso personale politico abbiano continuato a egemonizzare la politica italiana nelle formazioni della seconda Repubblica e, in particolare, nella deriva berlusconiana.

Nel vuoto delle culture politiche, dopo il crollo dei partiti tradizionali, si è formato un generale senso antipolitico che ha fatto avanzare il “populismo”, non come espressione cosciente del popolo, ma come manifestazione della sua diseducazione civica.

L’educazione civica è fatta soprattutto di esempi virtuosi: quando l’Italia è stata guidata da un ceto illuminato ha conosciuto la rinascita e il “miracolo italiano”, non solo economico; quando è prevalsa l’opinione fallace che la politica può prescindere dall’etica e che la classe dirigente può fare a meno delle competenze è subentrato un trentennio di stagnazione, di arretramento e di crisi. È anche questa la prova del primato della politica sull’economia e sull’ordinaria amministrazione.

Il ritorno del centro, con un personaggio come Monti che ha dato una nuova dignità all’azione di governo, che è riuscito ad intessere un dialogo di fiducia con l’Europa e la comunità internazionale, di cui abbiamo assolutamente bisogno, è un fatto importante in una situazione in cui si è rotto il vincolo di fiducia tra i cittadini e la politica e la società, delusa e incattivita, si fa fuorviare dalle demagogia dei capi-popolo e dagli imbonitori.

Non è poco di questi tempi e i partiti esistenti, in crisi di identità, dovrebbero tenerne conto; un anno di governo Monti ha aperto una strada completamente diversa e siccome non c’è all’orizzonte una coalizione in grado di governare il Paese, i settori meno oltranzisti dei due poli dovrebbero guardare con ottimismo alla nuova possibilità. Sarebbe, infatti, un errore storico se il Partito Democratico si rinchiudesse a sinistra e il P.D.L. ricostituisse l’asse con una Lega xenofoba e antieuropeista.

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