Con l’autunno si sono riaperte, come per tradizione, le aule scolastiche fra le mille contraddizioni del sistema, con i tentativi pur sempre insorgenti di rinnovamento e le tante delusioni di una classe docente frustrata da un ruolo sociale sempre meno riconosciuto (e conseguente blocco degli stipendi, peraltro inadeguati rispetto alla funzione). Si aggiungano i limiti di spesa imposti dalle difficoltà del bilancio statale (gli investimenti più risolutivi ai fini del superamento della crisi dovrebbero invece riguardare la scuola, peraltro da riqualificare). Le cure dimagranti di questi anni sono ascese a ben 8,3 miliardi di euro. La Riforma Gelmini ha ridotto indirizzi e orari, ora concepiti più organicamente, rispetto alla miriade di sperimentazioni selvagge, che caratterizzavano l’istituzione nel suo complesso, spesso prive delle necessarie serie linee di progettazione e di verifica; ha dato maggior rilievo alla matematica e potenziato l’insegnamento-apprendimento delle lingue straniere, depotenziato il latino; ma pur rivendicando l’urgenza del criterio meritocratico sostanzialmente non ha mutato la scuola nella sua relazione strutturale con la società e nel rapporto coi dettami costituzionali, tesi a portare tutti ai più alti livelli di istruzione e formazione. Pesano ancora i condizionamenti socio-culturali di partenza con i riflessi negativi sulla mobilità sociale. Rimangono purtroppo la canalizzazione precoce e la gerarchia dei percorsi, con l’impossibilità reale di passaggi e scelte che divengono di fatto irreversibili nel biennio della secondaria superiore.
L’Italia è rimasta il fanalino di coda in Europa per dispersione scolastica ed esiti di apprendimento (soddisfacenti solo nei licei e nel centro-nord, non certo negli istituti professionali). Al fine di migliorare la qualità dell’apprendimento intanto, in considerazione del fatto che la scuola media si è rivelata l’anello debole della catena formativa, si è deliberato di affidare all’Invalsi l’effettuazione di un piano nazionale qualità e merito mediante dei test, verificando le competenze relative all’italiano e alla matematica (le materie fondamentali). Il rilevamento delle carenze dovrebbe mirare a mettere in campo azioni per l’auto-miglioramento. Siamo l’ultimo Paese in Europa a valutare gli esiti dell’apprendimento in modo attendibile e lo facciamo nei soli termini di un fatto interno tra docente e discente attraverso criteri del tutto soggettivi. A evitare il declino economico italiano, che è il risultato dell’emergenza educativa, bisogna mirare particolarmente a una scuola che insegni soprattutto come pensare (più ancora che cosa pensare).
Poiché la nostra è diventata una civiltà eminentemente mediatica va poi risolto il problema dell’utilizzazione di queste tecnologie al fine di costruire una didattica attiva e partecipata, per progetti e di tipo cooperativo, con possibilità di interazione molto più ampie. In questa dimensione il docente deve essere capace di gestire la regia didattica ed essere consapevole del fatto che le tecnologie cambiano il tipo di apprendimento. I ragazzi che tuttora navigano su Internet prevalentemente a scopo ludico saranno così in grado di comparare e valutare le fonti con senso critico sotto la guida del docente, in primis coinvolto in questo approccio. Va comunque evitato un uso sporadico e irriflesso delle tecnologie. Oltre la trasmissione delle informazioni si ha la creazione di occasioni di apprendimento anche tra gli allievi stessi e la produzione di testi riesce facilitata.
La dotazione di tecnologie al momento, almeno dal punto di vista quantitativo, è sufficiente; va però rilevata anche la loro obsolescenza. Tra il 2005 e il 2008 sono stati coinvolti 170.000 insegnanti in una generica alfabetizzazione informatica, che però non costituisce ancora una priorità soprattutto nella scuola media. Ridotto è l’uso creativo della strumentazione. L’impiego più rilevante si è palesato non durante le ore in aula, ma fuori, in fase di documentazione, e la preparazione è risultata più che altro frutto di un interesse personale. Certo si impongono all’attenzione i seguenti benefici: aumento dei canali e delle potenzialità della comunicazione, superamento dei limiti spazio-temporali imposti dalla comunicazione vis-à-vis, l’economicità.
C’è infine il problema dell’arruolamento dei docenti (dal 1999 siamo rimasti senza concorsi, con le graduatorie a esaurimento non ancora esaurite). Per l’accesso alle 11.542 cattedre a tempo indeterminato recentemente messe in palio (domande entro il 7 novembre) è prevista una partecipazione oceanica, data la diffusa disoccupazione intellettuale. L’importante è comunque che tutti i docenti guidino gli alunni ad acquisire le conoscenze fondamentali e un habitus mentale, a stare nella società, dando sempre spazio al dialogo, che essendo sempre chiari e autorevoli li coinvolgano nella trasmissione dei valori e nelle nuove scoperte, li preparino all’ingresso nel mondo del lavoro, li aiutino ad avere vissuti soddisfacenti e autentici con le parole per dirli.
Fallito il disegno governativo di aumentare di sei ore nella secondaria l’impegno frontale di cattedra dei docenti senza aumenti stipendiali, non tenendo conto delle incombenze che già li investono, la società rispetti i profili e le condizioni già esistenti e la ragguardevole quantità di energie fisiche ed emotive profuse anche in relazione a preparazione delle lezioni e aggiornamento, correzione dei compiti, ricevimento e rapporti coi genitori, scrutini con voti e giudizi, consigli di classe e riunioni di collegio, compilazione di piani didattici e relazioni e così via.
Ci si ricreda finalmente sul mito dei tre mesi di vacanze estive (Natale e Pasqua lunghi), sfatato da tante, tantissime eccezioni (pur non volendo negare le sperequazioni interne alla categoria).
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