Pugni che non fanno male. Sono quelli che si sono scambiati, in un improvvisato incontro di pugilato disputatosi a Kabul tra il campione afgano e quello di un meraviglioso paese il cui nome è sostanzialmente impossibile scrivere. Meraviglioso, appunto, per essere praticamente ignoto alle cronache e, quindi, sicuramente felice di questa estraneità ad avvenimenti che vengono a conoscenza solo in chiave di tristezze.
Pugni che non fanno male per la nobiltà della causa che ha spinto all’organizzazione del match voluto per riunire attorno ad un quadrato un popolo di fazioni anche avverse tutte unite nell’entusiasmo di poter assistere ad un imprevisto spettacolo sportivo messo in atto proprio – come ha dichiarato il campione afgano – per cancellare momenti di tensione e far risuonare voci di pace.
Una nobile iniziativa che ha riscosso un successo enorme di pubblico festante.
Che poi la vittoria finale toccasse al campione di Kabul poteva essere piuttosto scontato visto che – in una strana ma simpatica permissività tecnica – sovrastava in altezza di almeno trenta centimetri l’avversario disponendo, per giunta, di un’apertura toracica di un paio di volte superiore a quella del rivale.
Ovvio, quindi, che pur di organizzare l’incontro si sia accantonata ogni perplessità sulla differenza delle due categorie che non ha sconcertato proprio nessuno e tanto meno i due interpreti con il soccombente (per k.o. tecnico) ben lontano dall’avanzare recriminazione alcuna impegnatosi – più che nel combattimento – in un simpaticissimo abbraccio finale con l’avversario.
Un abbraccio per la pace tra i popoli, che val pure uno spettacolo. Anche a suon di pugni.
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