L’intervento di Marco Lodoli (Repubblica, 31 ottobre) “Addio cultura umanista”. “Noi insegnanti – dice Lodoli nell’articolo – parliamo di autori e temi che ai giovani sembrano polverosi e malinconici”. Siamo in sostanza alla fine dell’Umanesimo. Tutta una cultura in blocco, quella sulla quale intere generazioni si sono formate mezzo secolo fa, ma anche dopo, è stata spazzata via dall’irruzione brutale e veloce d’una “modernità” fatta di altro. L’umanesimo è morto, scrive Lodoli, inutile piangerlo, molto meglio cercare di capire che vogliono e dove stanno andando i giovani. L’intervento ha suscitato grande interesse, decine le lettere. Per la verità, l’incapacità della cultura umanistica di essere interessante ed utile ai giovani, non mi è sembrata un’idea tanto nuova ed originale. Senza andare troppo lontano già nell’Ottocento il problema dell’ utilità degli studi umanistici per le nuove generazioni si poneva. Racconta a tal proposito F. De Sanctis, grande storico della letteratura italiana: “Un giorno confortavo allo studio delle lettere un mio giovane amico di Napoli, il quale stette un pezzo muto a sentir le mie belle ragioni; poi, come a chi fugge tutto a un tratto la pazienza: «Sai, disse, che ti credevo un po’ più uomo? Che diavolo! Bisogna ben ragionare. Credi tu che una terzina di Dante mi possa toglier di dosso i miei debiti, o che tutti gl’inni del Manzoni mi diano un buon desinare? Filosofia, letteratura, storia, a che prò? per finire in uno spedale? Oibò io studierò il codice, farò un bell’esame e sarò fatto giudice. Che bisogno ha un giudice di Dante o del Petrarca?”. Mi pare che in questo passo sia contenuta tutta la polemica superficiale circa l’utilità, per certi giovani, dello studio dei classici. Del resto quasi una quarantina di anni fa Tullio De Mauro scriveva che il ministro della Pubblica Istruzione dell’Italia Unita aveva mandato degli ispettori per capire come mai greco e latino, due cardini essenziali degli studi umanistici, stessero dando così cattiva prova di sé nelle scuole. I risultati furono sconfortanti ed erano quelli di allora dei licei dove studiava l’élite della borghesia e con ottimi maestri pieni di prestigio e stima sociale. Del resto personalmente, come studente, come collega e come aggiornatore d’ insegnanti ho fatto un’esperienza analoga. La stessa scrittrice Natalia Ginzburg, intervistata da Dacia Maraini, alla fine degli anni ’90, per il libro “E tu chi eri?”, a proposito dello studio della letteratura a scuola diceva: “Quello che studiavo della letteratura non aveva niente a che vedere con quello che interessava a me… perché era roba morta…[la letteratura per me è ] un modo di occuparsi delle cose di questo mondo attraverso le parole scritte..”..
Beh! se anche una scrittrice famosa parla di una sua cattiva esperienza di studio della letteratura, che cosa ci dobbiamo aspettare dai ragazzi oggi nel Terzo Millennio con una scuola di massa e con i tagli alla cultura e alla scuola e con insegnanti mal pagati e bistrattati?
Lodoli, dice C. Augias, sbaglia nel dire che l’umanesimo è morto. “Non è morto l’umanesimo, è solo diventato inefficace il modo di raccontarlo”. Per la verità qui non si tratta solo di questione metodologica (e Augias lo sa) cioè della morte di un metodo obsoleto, che certamente ha la sua gran parte di responsabilità, nella crisi dell’insegnamento dell’umanesimo; ma qui siamo d’innanzi a qualcosa di più profondo, Quella che è morta non è la cultura classica, tout court, ma una concezione vetero-umanistica della cultura classica, di quell’ idea cioè delle humanae litterae come bagaglio immutabile da secoli. Questa concezione considera la letteratura come valore in sé e non come opportunità per aiutare lo studente a capire il mondo e ad educarlo al gusto estetico.
E’ morto un certo modo di intenderla, di insegnarla e proporla a dei giovani del terzo millennio che vivono immersi nel web e sono ormai dei nativi digitali. La lezione frontale e lo studio libresco della letteratura hanno subito un attacco selvaggio da parte dei media acustici e visivi e da una cultura sicuramente de-alfabetizzante come quella attuale. “Oggi bisogna riflettere”- dice il prof Raffaele Simone – “sul fatto che la lettura non è l’unico “strumento di formazione. ‘Oralità e visività’ hanno aumentato la loro importanza. C’è un rovesciamento di profili che riguarda particolarmente i giovani, che sembrano ormai incorporati in un tempo interno incredibilmente veloce, che gli proibisce o gli rende difficile trovare anse di lentezza, in cui batta più tranquillamente il clock dei loro desideri, cioè lo spazio tipico in cui la lettura il libro, l’alfabeto si installano e si legittimano.
La ragione di questo cambiamento di profili culturali è abbastanza facile da identificarsi:la ‘civiltà dell’immagine’ che sta rivelando i suoi veri caratteri, creando un mondo antitetico a quello cartaceo, una specie di mondo dell’Antilibro”. Come se ne esce?
Si tratta da un lato di rinnovare le metodologie didattiche, dando spazio alla ricerca, all’apprendimento cooperativo, al confronto, all’uso degli strumenti multimediali nello studio del mondo classico e dall’altro bisogna ripensare non solo i metodi, ma il contenuto e le finalità di questo patrimonio della tradizione che è la cultura classica. Si tratta in sostanza di cercare di dare risposta ai seguenti interrogativi:1°) Bisogna “rottamare” tutta la tradizione letteraria umanistica perché non più rispondente alle esigenze di una società multimediale, percorsa da divergenti forme di comunicazione o operare invece una selezione critica e consapevole di ‘ciò che ancora vivo e di ciò che è morto’ di quella tradizione, per farla rivivere legandola alla vita d’oggi in forme più attuali e vivificanti? 2°) Qual è la finalità dell’insegnamento delle humanae litterae? In altre parole, a che cosa servono la poesia e la letteratura in genere? 3°) Come coinvolgere gli studenti? Come motivarli? Come emozionarli? Dal tipo di risposta corretta che si darà ai quesiti proposti dipenderà o meno la soluzione del problema sul piano educativo e didattico. Ma una cosa è certa dice Augias: “L’insegnante non può più limitarsi a ripetere anno dopo anno la lezione studiata chissà quanto tempo fa. Deve inventarsi, trovare nuovi collegamenti, far precipitare l’attualità dentro i testi classici, scuotere le vecchie carte e farne cadere ciò che conta oggi agli occhi dei giovani. E in questa scommessa il compito dei docenti è particolarmente difficile perché richiede una forte capacità di rinnovarsi, di cambiare, di essere alternativi e creativi. Si tratta d’altra parte di riavvicinare la cultura, quella vera, alla vita, farne cogliere il senso, il valore, l’utilità. È difficile, ma non impossibile. Ci sono insegnanti che non si sentono né invisibili e né frustrati, come quelli di cui parla Lodoli, che riescono ancora a coinvolgere gli studenti nel dialogo educativo. Ma le loro lezioni non sono dei noiosi monologhi frontali come quelli dei loro insegnanti . Questi docenti spostano le classi da un laboratorio all’altro, dalla loro aula alla sala multimediale dove Benigni, Sermonti, Gasman recitano e commentano mirabilmente i versi della Divina Commedia, visualizzano in classe le videocassette e i DVD delle opere di Euripide, Boccaccio, Machiavelli, Goldoni, Manzoni ecc. Sono molti i licei che organizzano viaggi d’istruzione nella Grecia classica e nei luoghi della memoria, dove i nazisti hanno compiuto quella “rottura d’umanità” rappresentata dallo sterminio di milioni di uomini, donne e bambini. Ma ci sono scuole, come il liceo Classico “E.Cairoli” di Varese, (come ho potuto constatare personalmente martedì scorso) che portano, dopo accurata preparazione, a teatro a Milano, i propri alunni (ben 180) ad assistere ad un’opera di Pirandello. Alla fine dello spettacolo, seguito con religioso silenzio, ho sentito dagli studenti solo commenti entusiastici sull’opera e sulla iniziativa del liceo, che dovrebbe essere imitata anche dagli altri Istituti della città e della provincia di Varese. Sarebbe questa un’utile opportunità per avvicinare i giovani al patrimonio letterario della tradizione umanistica ed educarli al gusto estetico, allontanandoli per un po’ da Internet. Ma questi insegnanti, che si mettono in discussione un po’ in tutta Italia, non si limitano a queste iniziative, ma integrano il libro di testo, e la lettura dei classici con la visione della versione filmica dell’opera studiata, mettendo a confronto il modus operandi del testo letterario con la grammatica del filmato. Utilizzano Internet, film, pièce, canzoni, progetti, giochi ecc. Sono insegnanti che sanno comunicare con i ragazzi attraverso il loro linguaggio, perché sono figli delle nuove tecnologie. Riescono a trasmettere passione per la professione e per il mondo classico. “Ai ragazzi” dice la prof. M.Galatea Vaglio “di norma, la letteratura piace, perché la letteratura è raccontare storie, e sentirsi raccontare storie è un bisogno primario per ogni essere umano”. Ma insegnare non è facile, e avvicinare gli studenti a quella “mensa dove lo pane degli angeli si manduca” e l’insegnamento della letteratura è una fase più complessa e difficile dell’insegnare. Ma è possibile. “Certo” aggiunge la prof. M.Galatea Vaglio in polemica con Lodoli -“ bisogna prenderli per mano. Nemmeno Dante ce l’avrebbe fatta ad attraversare Inferno e Paradiso, se Virgilio e Beatrice, generosamente, non lo avessero scortato con pazienza, spiegandogli ad ogni piè sospinto dov’era, cosa stava succedendo, chi avrebbe incontrato lì, perché era importante che ci parlasse.
Ma il nostro lavoro è proprio questo. Loro ci vedono come dei vecchi catorci insopportabili che raccontano di gente morta da secoli e pallosa. Sta a noi dimostrare che no. Fargli capire, fonti alla mano, che metà di quello che leggono oggi ha radici antiche: e allora via, prendere il testo di Harry Potter e fargli scoprire che il Basilisco non l’ha inventato la Rowlings, ma è il protagonista di una favola spietata e bellissima di Leonardo da Vinci; che Conan Doyle, quando inventava i racconti di Sherlock Holmes copiava da un autore greco, Pausania. Si può spiegare , facendo i raffronti con i giornali letti a scuola la mattina, che Tucidide faceva giornalismo d’inchiesta, usando le tecniche che oggi sono alla base dei programmi come Report. Bisogna spiegare loro, che non lo sanno, che la cultura umanistica non è una cosa per specialisti, ma quella che un domani ti serve, se farai il pubblicitario, ad inventare per il tuo prodotto uno slogan di successo, pieno di ritmo, allitterazioni, rime e di figure retoriche adatte a fissarsi nella mente del potenziale cliente per sempre; che la grammatica e la sintassi sono fondamentali per costruire un testo comprensibile per il tuo futuro sito web. Bisogna insomma far capire, ma credendoci noi per primi, che la cultura umanistica non è solo bella, ma è utile, anzi indispensabile: perché gli spot della Telecom non li capisci se non sai chi erano Dante e Virgilio o non sai chi erano Garibaldi e Mazzini,” o Marco Polo interpretati dai bravi attori comici Neri Marcoré e Marco Marzocca.
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