Iniziare l’anno della fede con la presentazione di una guida turistica può sembrare un’idea curiosa, ma è quello che ha fatto la Comunità Pastorale di Sant’Agostino a Sesto Calende, presentando presso la Sala Consiliare il volumetto di don Michele Aramini dedicato all’Abbazia di San Donato. La ragione è ben spiegata dal Prevosto don Luigi Ferè nell’introduzione al testo: “Il libretto non è tanto una presentazione scientifica, storica e artistica, ma l’offerta di un itinerario catechetico-spirituale, che possa aiutare ad attingere in modo semplice il profondo significato della chiesa, come luogo della nostra salvezza nell’incontro con Cristo e con la testimonianza di Maria e dei santi”. Il che non toglie che il libro, che fa parte di una collana dell’editrice ELLEDICI significativamente intitolata “I luoghi della fede”, sia nel contempo uno strumento agile per il visitatore e un testo scientificamente preciso, che raccoglie quanto finora gli studiosi hanno scritto a proposito di uno dei monumenti più interessanti e nello stesso tempo meno conosciuti del nostro patrimonio medievale.
L’abbazia è sorta infatti in piena epoca carolingia, alla fine del IX secolo, per volere di Liutardo, vescovo di Pavia, in un luogo accuratamente scelto per il suo significato strategico. La zona in cui il Ticino esce dal Lago Maggiore è stata infatti nei secoli punto di passaggio obbligato per gli eserciti, come per i mercanti o i pellegrini, che percorrevano la direttrice nord-sud tra pianura Padana e i passi alpini.
Della chiesa di Liutardo, come di gran parte delle altre fondazioni altomedievali, non resta quasi nulla, poiché gli ampliamenti avvenuti nei secoli successivi ne hanno nascosto le tracce. Secondo la logica medievale del reimpiego, alcuni frammenti della decorazione scultorea sono però stati riutilizzati in epoca romanica, ad esempio nelle mensole della cripta. Quella romanica è in effetti la fase più importante del monumento, in cui la chiesa ha assunto la fisionomia che mantiene ancor oggi, con una maestosa struttura a tre navate e tre absidi, il presbiterio rialzato sopra la cripta, e un ampio portico all’ingresso. Nonostante la chiesa appartenesse al vescovo di Pavia, il modello seguito dall’ignoto architetto fu sicuramente quello delle grandi basiliche milanesi, come si può osservare anche nella decorazione esterna dell’abside, che riprende il motivo tipicamente ambrosiano dei fornici. L’esterno dell’abside è peraltro una delle zone meno rimaneggiate della chiesa, che in altre parti ha subito modifiche anche pesanti.
Ad esempio l’atrio, che forse in origine serviva al ricovero di viandanti e pellegrini, è stato trasformato nel Settecento in uno spazio chiuso direttamente comunicante con la chiesa, ma conserva ancora i suoi capitelli scolpiti. Opera di abili artigiani forse di origine pavese, sono tutti diversi tra loro, con decorazioni ricche di simboli e di riferimenti biblici, che preparavano il fedele all’ingresso nell’edificio propriamente detto. Anche il corpo della chiesa è stato rimaneggiato in epoca barocca, con la costruzione delle nuove volte, l’apertura dei finestroni e l’aggiunta degli stucchi, ma colpisce ancora per la solennità degli spazi e per il ruolo preminente dato al presbiterio dove si trovava l’altare. Anche le decorazioni romaniche sono completamente scomparse, mentre restano numerose testimonianze di pittura quattro e cinquecentesca, sia nella cripta, dove però se ne vedono soltanto le sinopie, sia nel nartece e nell’abside meridionale, particolarmente ben conservata. Qui nel catino absidale, in posizione centrale, si trova l’immagine di Dio Padre benedicente, fiancheggiato dalle figure dei santi vescovi Ambrogio e Nicola, e subito al di sotto la scena del battesimo di Cristo. Questi affreschi ne coprono però altri più antichi, rappresentanti una teoria di Santi, testimonianza evidente della stratificazione storica che l’edificio ha conosciuto.
Di epoca rinascimentale è anche il crocifisso di legno scolpito oggi collocato nel nartece, ma che un tempo si trovava sopra l’architrave dell’abside centrale. Attribuito ai fratelli De Donati è caratterizzato da una forte e severa drammaticità, che lo distingue dal Crocifisso settecentesco collocato invece nell’omonima cappella al fondo della navata settentrionale, che era oggetto di una particolare devozione da parte degli abitanti. Idealmente essa si collega con uno dei reperti più antichi della chiesa: la pietra oggi murata all’esterno della navata settentrionale che reca incisa la figura di Cristo in croce con gli Evangelisti, risalente all’epoca della fondazione carolingia.
La lunga storia dell’edificio ha conosciuto purtroppo negli scorsi mesi un episodio negativo: l’incendio che ha interessato la parte inferiore del campanile, senza fortunatamente portare danno grave alle strutture, ma lasciando tracce evidenti anche nella navata a cui è accostato. Presto partiranno i restauri, e l’auspicio della parrocchia è quello di ottenere il sostegno e il contributo di molti, anche grazie alla pubblicazione della nuova guida.
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