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Sport

DA MAGNI A ARMSTRONG

ETTORE PAGANI - 03/11/2012

È diventato, ufficialmente, rispetto a Gino Bartali e a Fausto Coppi il “terzo uomo”, va di moda, l’hanno scritto e l’hanno detto. E lui, Fiorenzo Magni, ha gradito dicendo che, pur nelle rivalità, chi è più bravo merita il dovuto riconoscimento.

I lunghi anni di distanza tra il ritiro dall’attività ed oggi evidentemente hanno lenito qualche dolore, sfumato i ricordi nella mente del grande campione recentemente scomparso. Ricordi non sempre gioiosi visto che – proprio e soprattutto per l’irrigidimento di Bartali – il leone delle Fiandre si vide costretto ad abbandonare, insieme a tutta la nazionale italiana, il Tour de France del 1950 tornandosene in Italia con la maglia gialla sul cofano della vettura che lo ospitava anziché sulle sue spalle dove era stata sino al giorno prima dell’abbandono.

Non fu, certo, una decisione approvata da Magni quella che dovette digerire a malincuore e non senza un logico risentimento.

Vero è che anche l’ostinazione di Bartali – sulla quale nulla poté neanche l’intervento del c.t. Alfredo Binda – aveva le sue buone ragioni. Era, infatti, accaduto che i gregari della squadra italiana stessero mietendo – con Magni in maglia gialla – vittorie di tappa a ripetizione seguendo una tattica ben precisa che consisteva nell’entrare a turno, in qualsiasi fuga decisiva, mettendosi alla ruota del gruppetto dei fuggitivi senza “tirare” un solo metro, arrivando, così, “freschi” sul traguardo e battendo, regolarmente, tutti in volata.

Ripetendosi la situazione l’ira dei tifosi francesi ebbe un’autentica esplosione a danno dei corridori italiani (“succhiatori di ruote”, così furono chiamati) insultati e a tratti anche ostacolati dal pubblico ancorché qualche corridore francese (“testa di vetro” Jean Robic su tutti) ne prendesse le difese arrivando a scendere di bicicletta per difenderli menando colpi di “pompa” (allora corredo necessario di ogni bici per gonfiare i tubolari in caso di foratura) a destra e a manca.

Il clima acceso fece nascere la possibilità di ritiro della squadra italiana scelta di cui Gino Bartali fu deciso sostenitore.

Ovvio che Magni – in maglia gialla si diceva – lo fosse molto meno ma la tesi del ritiro finì con il prevalere.

E, in quella occasione, Magni non fu certo soddisfatto di essere considerato il terzo uomo quando il giallo sulle sue spalle lo accreditava come il primo in senso assoluto comandando una classifica che lo vedeva precedere grandi campioni del calibro di Kubler e Bobet.

Terzo uomo dunque solo come modo di dire. Primo sicuramente in fatto di forza, carattere e serietà dimostrata anche in quel Giro d’Italia che si rifiutò di abbandonare pur avendo una spalla gravemente danneggiata da una caduta.

Al cospetto della serietà del grande toscano la vicenda Armstrong assume contorni di vergogna ancor più rimarcati. Anche perché la si è, tranquillamente, ignorata quando i sospetti stavano già prendendo consistenza.

Così come, del resto, si continuano ad esaltare – nel ricordo di pagine di libri, giornali e di riproposizioni televisive – le imprese non solo di stranieri ma di nostri connazionali ottenute sotto “effetti speciali”.

D’altro canto se anche lo stesso Armstrong sta già trovando qualche difensore (vedasi Contador predicatore da pulpito non certo qualificato) quando mai sarà lecito sperare che la “malattia” sparisca dal ciclismo?

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