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Attualità

DOPO L’EPOCA BERLUSCONIANA

ROMOLO VITELLI - 13/11/2011

In molti si chiedono se si parlerà un giorno di “epoca di Berlusconi,” così come oggi si parla di “epoca di Giolitti”, o “epoca di Mussolini”; e fino a che punto si può parlare di dittatura e/o di regime berlusconiano; e infine: perché un uomo come Berlusconi ha potuto prendere il potere in Italia, e mantenerselo così a lungo.

Dal primo interrogativo muove la ricerca del professor Antonio Gibelli, docente di Storia contemporanea all’Università di Genova, nel suo agile, ma denso libretto: “Berlusconi passato alla storia”, Donzelli editore.

La risposta in un certo qual modo è sì, tanto invasiva e penetrante è stata, per quasi un quinto di secolo (se non di più), l’influenza del berlusconismo “non solo sulla politica, ma sulla teoria e sulla prassi di un mondo fondato sui principi – fino a quel momento inediti e inauditi – delle possibilità manipolatrici e demagogiche dei media”. Circa il secondo quesito, se cioè si possa parlare o no di dittatura dell’età di Berlusconi, Gibelli, dice: “Benché […] sia improprio parlare di una dittatura in senso classico […], tuttavia appare ragionevole affermare che nell’età berlusconiana l’Italia è stata ed è teatro, per la prima volta in un Paese occidentale […], di un esperimento molto spinto di democrazia autoritaria”. Comunque Nihil novi sub sole (“Niente di nuovo sotto il sole”): del resto l’aveva già detto limpidamente Bertolt Brecht, nel suo Arbeitsjournal: “Un fascismo americano sarebbe democratico”.

Ma ora veniamo all’ultimo interrogativo: “Come mai un uomo come Berlusconi ha potuto prendere il potere in Italia?”.

Anche se indirettamente, a questo interrogativo, una risposta la dà il professor Gibelli, che ricostruisce l’ascesa di Berlusconi partendo da Mani pulite e dal vuoto creato dalla scomparsa dei partiti tradizionali Dc, Pci e Psi, descrivendo la nascita di un movimento politico “di natura nuova, basato su un modello di gestione aziendalistico e sulle tecniche del marketing”.

 In questa ricostruzione il ricercatore mette in evidenza tutti i fattori che permisero a Berlusconi di “scendere in campo” e di vincere le elezioni del 1994, tra l’incredulità e la sorpresa della sinistra: dal carisma personale, alle sue doti di affabulatore, all’uso spregiudicato e massificante della tv, alla scelta del nome (Forza Italia) tra il patriottico e lo sportivo, al colore azzurro che affratella – il  manto della Beata Vergine, la maglia della Nazionale –, al rispolveramento del ‘pericolo comunista,’ all’esempio dei suoi successi imprenditoriali, anche se non sempre limpidi.

 È indubbio però che nell’ascesa e nella vittoria del premier abbiano pesato tanti altri fattori non ultimi i ritardi e i limiti (del resto indicati dall’autore) del gruppo dirigente della variegata galassia della sinistra, che si sono rivelati incapaci di rinnovarsi e nel dirigere la nuova fase economica e politica che si stava preparando alla fine del Secondo Millennio. Però quello che a me interessa invece mettere in luce è il ruolo che le “possibilità manipolatrici e demagogiche dei media ” e in particolare della televisione – come dice Gibelli – hanno avuto nello stravolgere la realtà italiana, fondata su solidi principi costituzionali e contribuito alla vittoria di Berlusconi e al consolidamento del suo potere così a lungo nel Paese.

Per comprendere quanto sia stato grave permettere di “scendere in campo” a un imprenditore come Berlusconi che disponeva del sostanziale monopolio dell’informazione televisiva e di gran parte dell’oligopolio di quella stampata, basti riflettere su questo dato. “Nel 1994, quando la sua avventura politica è cominciata” – scrive Corrado Augias su “la Repubblica” del 6 novembre 2011 – “le sue televisioni erano sull’orlo del fallimento. È stata la sua carica oltre ad alcuni grossolani errori ed omissioni della sinistra” a favorirne l’ascesa e la crescita economico-politica. Quanto abbia pesato e continui a pesare, anche in questa tragica fase dell’agonia del suo governo, in termini economico-politici e di credibilità internazionale sulla grave crisi che attanaglia il nostro Paese il cosiddetto “conflitto di interessi,” impedendo di fatto una soluzione politica alla crisi, è davanti agli occhi di tutti. Berlusconi ha ribadito recentemente al ritorno da Cannes, mentre la sua maggioranza si stava ulteriormente sfarinando, che non si sarebbe dimesso. E perché?

“In un attimo di sincerità” – dice Augias – il presidente del Consiglio ha confessato le ragioni per le quali non si dimette e disperatamente resiste sulla sua poltrona”. “In certi momenti” – ha affermatoo il premier – sarei tentato di lasciare tutto. Poi penso a ciò che succederebbe alle mie aziende e allora resto”. Prevalgono quindi le inquietudini per il destino delle sue aziende, in primis le televisioni, e non per il dramma che vive il nostro Paese. Oggi la questione del conflitto d’interessi esplode in tutta la sua gravità e pensare però che quando eminenti esperti di comunicazioni hanno cercato di mettere in guardia la sinistra dal lasciare in mano al premier una così grande concentrazione di potere mass-mediatico, denunciando il pericolo che un uso spregiudicato della televisione, come strumento di omologazione generale e come complessa macchina di consenso di massa, avrebbe rappresentato per la democrazia nel nostro Paese, si sentivano spesso ripetere che poi la “cosa non era così grave” perché in fondo “nonostante le televisioni Berlusconi era stata sconfitto due volte”. Dimostrando così ancora una volta di non aver compreso affatto e a pieno quello che dice  Marshall McLuhan a proposito di mass-media e cioè che il vero potere di un mezzo di comunicazione di massa è nei mutamenti che introduce nei rapporti umani, cambiando gli uomini e i loro modi di pensare.

“È impossibile – dice il sociologo canadese – capire i mutamenti sociali e culturali senza una conoscenza del funzionamento dei media”. “E una democrazia” – avverte Karl Popper – è in pericolo fino a quando il potere della televisione non verrà compreso sino in fondo”.

E pure  Mac Luhan  aveva da tempo avvertito: “Una volta che abbiamo consegnato i nostri sensi e i nostri sistemi nervosi alle manipolazioni di coloro che cercano di trarre profitti, prendendo in affitto i nostri occhi, le orecchie e i nervi, in realtà non abbiamo più diritti. Cedere occhi, orecchie e nervi a interessi commerciali è come consegnare il linguaggio comune a un’azienda privata”.

 I mass-media hanno alimentato in questi anni falsi miti e improbabili ambizioni, plasmando una società non dell’essere, ma dell’apparire, che fa dire al filosofo Umberto Galimberti: che la nostra “è una società dell’apparire dove se non appari in televisione o su Internet non esisti; dove gli unici bisogni da soddisfare sono la bellezza, la giovinezza, la salute, la sessualità, che sono poi i nuovi valori da vendere[…].Nessuno investe più sulle proprie capacità, ma solo sulle cose che possiede, siano esse il denaro, il potere la giovinezza o la bellezza”. Ed è quello che aveva colto lucidamente Alexis de Tocqueville, già nel 1840, in tempi non sospetti e completamente diversi dagli attuali, come si può vedere dalla citazione che segue: “Può accadere che un gusto eccessivo per i beni materiali porti gli uomini a mettersi nelle mani del primo padrone che si presenti loro[…]. Se un individuo abile e ambizioso riesce a impadronirsi del potere in un simile momento critico, troverà la strada aperta a qualsivoglia sopruso[…], cambiando leggi e tiranneggiando a loro piacimento sui costumi”.

Come se ne esce? Bisogna rimuovere al più presto il governo di centro-destra e le sue macerie culturali, morali e giuridiche, approvando, anche dopo la caduta di Berlusconi, una legge, come principio regolatore di democrazia, per disciplinare e risolvere una volta per sempre la questione del conflitto d’interessi, impedendo a chiunque, detentore di grossi interessi economici di ricoprire cariche politiche.

In oltre sarà necessario, anche se ormai i cittadini si stanno riprendendo dalla sbornia e dall’ottundimento televisivo berlusconiano, diffondere nelle scuole l’educazione a una fruizione critica e consapevole dei mass media.

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