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Ambiente

PETROLIO E CAMPO DEI FIORI

ARTURO BORTOLUZZI - 03/11/2012

Ho letto nei mesi e nei giorni passati una approfondita disamina riguardo al tema Caccia al petrolio al Campo dei Fiori previsto nel Progetto Cartabbia presentato dalla società USA Mac Oil in Regione Lombardia. Sono precisamente otto i municipi all’interno del territorio vincolato dal Parco naturale del Campo dei Fiori (seimilatrecento ettari complessivi) per i quali l’azienda americana ha formalmente chiesto alla Regione Lombardia l’autorizzazione a svolgere ricerche e perforazioni. Si tratta di Casciago, Induno Olona, Luvinate, Gavirate, Barasso, Cocquio Trevisago, Comerio e Varese.

Nel Progetto Cartabbia si parla di un investimento per le ricerche di cinque milioni, naturalmente a patto che la Regione dia il benestare a quella che ufficialmente si chiama “richiesta di verifica di assoggettabilità alla valutazione d’impatto ambientale”. Se tutto filerà liscio (e noi scriviamo in opposizione a questa istanza), le trivelle potrebbero entrare in azione fra tre anni e perforare il sottosuolo fino a una profondità di quattromila metri, tenendosi a una distanza di sicurezza di cento metri dai luoghi sensibili alle vibrazioni ed evitando lavori nei pressi di corsi d’acqua, sorgenti, risorgive, bacini di valore naturalistico o utilizzati per l’approvvigionamento idrico.

Sono perfettamente d’accordo con quanto dichiarato da Legambiente: non può non preoccupare la popolazione residente e quella che abita vicino ad essa il rischio ecologico che trivellazioni di questo tipo comportano. Vi sono prospettive economiche diverse e chiedo che si investa sulle energie rinnovabili che rappresentano lo sviluppo sostenibile del futuro e che ci possono rendere indipendenti dagli altri Paesi per l’approvvigionamento di energia.

Il Parco Campo dei Fiori comprende diciassette comuni: Brinzio, Barasso, Bedero Valcuvia, Castello Cabiaglio, Cocquio Trevisago, Comerio, Cuvio, Gavirate, Induno Olona, Luvinate, Orino, Rancio Valcuvia, Valganna, Masciago Primo, Casciago, Cunardo e Varese. Istituito il 19 marzo 1984 e attualmente presieduto da Giuseppe Barra, il Parco dispone di un piano territoriale approvato con la legge regionale 9 aprile 1994, n. 13, le cui previsioni urbanistiche sostituiscono eventuali difformità contenute negli strumenti urbanistici comunali. Il piano territoriale articola le differenti aree tutelate, comprese le riserve e i monumenti naturali e le aree da destinare ad attrezzature di uso pubblico.

Il Progetto Cartabbia interessa potenzialmente altre aree di pregio in tutto il Varesotto: quattro parchi regionali (Campo dei Fiori, Pineta di Tradate e Appiano Gentile, Valle del Ticino, Spina verde di Como), tre parchi locali d’interesse sovracomunale (Valle Lanza, Primo Maggio, Rile-Tenore-Olona) e due riserve naturali (Palude Brabbia, lago di Biandronno). Come scrive Federico Bianchessi su La Prealpina, è molto dubbio che perseguendo un Eldorado italiano si possano raggiungere risultati apprezzabili e significativi.

Ho una sola certezza: le nuove trivellazioni nuoceranno all’oro verde rappresentato dalle valenze territoriali varesine (che è nostro compito tutelare e, soprattutto, quello dei politici, saper valorizzare) e quello della buona salute (che è sempre compito dei politici, garantire).

Raggiungere gli obiettivi ricordati di una efficiente azione politica e sociale obbliga ad impegnarsi pianificando e a compiere lavori difficili e tortuosi. Distruggere l’ambiente o comunque metterlo in pericolo, è, invece, utilizzare una strada sempre facile e per nulla faticosa.

Trovo assonanze evidenti tra questo progetto pieno di incognite e, quello distruttivo, che si è ora fermato, consistente nella ripresa delle escavazioni in Valle Bevera, per attuare il piano di recupero della cava ex coppa.

È, infatti, più facile trivellare, che attuare un parco naturale; allo stesso modo che è più facile scavare, che costituire un nuovo PLIS, facendo imparare ai più giovani la rilevanza della biodiversità e difendendo le fonti idriche del Nord della Provincia di Varese per le generazioni future.

Tenendo in conto che l’Italia è tendenzialmente fatta di dinamiche periferiche, allora è evidente che i rapporti di concertazione devono mutare. Questi vanno orientati verso la dimensione territoriale e locale: meno dibattiti di alta politica economica e meno dialettica di vertice (tra domanda e offerta di provvedimenti) e più attenzione alle tante variabili che contrastano le imprese e la loro crescita, i valori ambientali e naturalistici come la politica turistica con le conseguenti esigenze di capacità ideativa, semplificazione, liberalizzazione, sburocratizza azione, eccetera.

Ed è pensabile che in connessione a ciò, cambierà anche il peso dei vari protagonisti del rapporto di concertazione: in prima linea ci saranno verosimilmente le rappresentanze dei mondi più minuti e periferizzati; e ci saranno anche, cosa più nuova, gli apparati amministrativi periferici e le associazioni locali finora grandi assenti dai tavoli della concertazione. Una duplice dinamica che deve trovare al più presto dei convinti padrini e che comporterà qualche progressiva maturazione ma che è verosimilmente non reversibile.

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