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Cara Varese

L’EQUIVOCO GARIBALDINO

PIERFAUSTO VEDANI - 03/11/2012

Ottobre se ne è andato con il suo carico di giorni di sole e di tempeste, in più occasioni non solo meteorologiche. Infatti alle bufere politiche, non legate strettamente all’andamento delle stagioni, si sono aggiunti gli ottobrini conati di nostalgia da parte di cultori del fascismo che nella nostra provincia non mancano. Si tratta ovviamente di nuove generazioni, i protagonisti della marcia su Roma per la legge del tempo sono in archivio, così come la larga maggioranza di coloro che seguirono sino in fondo la sciagurata iniziativa fascista della guerra mondiale. La storia la scrivono i vincitori, ma anche la più benevola delle revisioni sulle dittature di destra nell’Europa del secolo scorso, non concede nulla a chi ha causato la morte di milioni di persone.

Ottobre come occasione di riflessione, di approfondimento, di migliore conoscenza e non solo limitatamente al fascismo perché si tratta di un mese che nella storia italiana ha avuto notevole importanza e in Russia ha visto nascere nel 1917 quello che per decenni è stato il più importante regime comunista, una dittatura sul proletariato che avrebbe avuto in Stalin un leader pari a Hitler per ferocia.

Nell’ottobre 1917 l’Italia, in guerra dal 1915 al fianco di Francia e Inghilterra contro Austria e Germania, patì una sconfitta che avrebbe assunto, e lo mantiene ancora oggi dopo quasi un secolo, nella quotidiana vita di relazione il significato di disastro totale in ordine a eventi pubblici e addirittura privati. Oggi parla di Caporetto anche chi in pratica non sa nulla di quei giorni che furono sì difficili, ma non tali da svilire un’intera nazione. In realtà fu una sconfitta dura, ma non diversa, non decisiva rispetto alle tante altre patite da eserciti stranieri.

Nel 1918 scattò a ottobre l’offensiva italiana che avrebbe portato l’Austria al crollo: non avendo, come nazione unita, mai più vinto guerre, ogni anno ricordiamo Vittorio Veneto con manifestazioni che tuttavia sembrano sempre meno partecipate. È un po’ quello che accade il 25 aprile, anniversario della Liberazione, evento dai riflessi storici immensi perché quel giorno del 1945 si concludeva per l’Italia un’era in cui tra monarchia e dittatura, nonostante il Risorgimento, il nostro Paese non conobbe la democrazia come altri.

Lasciando alla scuola il compito di recuperare al meglio le vicende storiche, la comunità potrebbe giovarsi di iniziative culturali tese a rileggere gli eventi, a dare opportunità di nuove conoscenze. C’è sempre da scoprire in una ricerca storica, quindi anche la stessa marcia su Roma potrebbe rivelare novità. Fu un avvenimento che ebbe una incubazione politica e una preparazione paramilitare che poi, avendo la monarchia ceduto il passo a Mussolini, si ridusse a una serie di sfilate dei fascisti. Ma non fu folcloristico il seguito.

In breve anche Varese finì in camicia nera, non ebbe però come comunità un rapporto stretto con il duce, che sempre preferì andare in visita, acclamatissimo, in altre zone della provincia dei record aeronautici e della prima autostrada al mondo. Narra Piero Chiara che uno squadrista, in previsione della visita di Mussolini a Sesto Calende, si era allenato per presentarsi al duce e dirgli: “Varese garibaldina ti attende”. Lo squadrista al momento giusto inciampò, ruzzolò tra le gambe di Mussolini, venne afferrato dai gorilla della scorta: la frase studiata la proferì, ma mezzo strangolato come era, sembrò una minaccia e non un invito. E nella lotta furiosa con gli agenti gli uscì poi un poderoso lombardissimo “Vadavia…” che taluni a quel punto ipotizzarono non rivolto al poliziotto che gli torceva un braccio.

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