Riparlare delle Brigate rosse significa avere il coraggio di riaprire una ferita della nostra storia nazionale, dicendo con chiarezza che quella fu una vera e propria lotta armata, contro lo Stato, contro il “sistema”, contro uomini e donne che rappresentavano la legalità e le istituzioni. Ora un giudice, Rosario Priore, e un giornalista, Silvano De Prospo, riprendono i fili del discorso e li riannodano attorno a una indagine documentaria che ripercorre alcune delle strade che hanno segnato la rivoluzione delle BR e che è raccolta nel volume di recentissima pubblicazione “Chi manovrava le Brigate Rosse?”, per i caratteri della casa editrice “Ponte alle Grazie”.
Gli autori, intervistati dai giornalisti varesini Gianni Spartà e Michele Mancino, presenteranno il volume a Varese, il 29 novembre alle ore 20,45 nella Sala Montanari (ex cinema Rivoli). Un incontro aperto a tutti, organizzato dalla associazione culturale “Floreat”, in collaborazione con gli scrittori e artisti teatrali Rossana Fumagalli e Giovanni Ardemagni che proporranno parti recitate e musicali a tema.
Com’è nata l’idea di questo libro?
È nata durante una delle lunghe chiacchierate tra me e il giudice Priore a Roma, mentre si discuteva del terrorismo, della strage di Piazza Fontana del 1969 che quell’anno compiva quarant’anni. Non potevano mancare le Brigate Rosse, le quali avevano a suo tempo condotto una lunga e preziosa inchiesta su quella strage. Inchiesta rinvenuta nel covo di Robbiano di Mediglia e poi non più ritrovata. Così si è deciso di mettere nero su bianco il frutto dei nostri incontri.
Perché parlate di legami internazionali delle Brigate rosse?
Nella nostra ricerca, la prima cosa che abbiamo notato è che sin dagli albori, e sin da prima di assumere il nome Brigate Rosse, i loro fondatori erano già in contatto con gruppi eversivi di estrema sinistra, in Francia ma anche in Germania. Contatti che col tempo sono stati mantenuti non solo per lo scambio delle armi – che passavano tra l’altro anche per i valichi intorno a Mendrisio – ma anche per scambi di materiale ideologico. In particolare, il legame con le formazioni eversive europee e la palestinese OLP, si è rinsaldato maggiormente dopo il sequestro e l’omicidio dell’onorevole Moro. Per cui le nostre BR, prese a modello per i risultati militari raggiunti, sono state invitate a sprovincializzarsi e a entrare a pieno titolo in un progetto di “lotta rivoluzionaria” europea, con la creazione di una colonna estera che serviva, tra l’altro, per l’espatrio dei clandestini. Questa colonna è servita anche a Cesare Battisti.
A questo punto qual è stata la direzione che ha preso la vostra inchiesta?
I rapporti tra formazioni quali l’OLP, la RAF tedesca, l’ETA basca, l’IRA irlandese, Action Directe francese, erano mediati dai fondatori dell’istituto di lingue Hyperion, vecchie conoscenze dei brigatisti che nei primi anni settanta avevano fondato una misteriosa organizzazione clandestina soprannominata dai brigatisti superclan, cioè superclandestini. La nostra inchiesta ha cercato di ricostruire l’ideologia (che prevedeva la separazione fra il braccio amato e quello politico, la rivendicazione con più sigle degli attentati, che dovevano creare puro terrore ecc…), l’organizzazione e l’evoluzione dei suoi fondatori, dal superclan fino all’istituto Hyperion. Dimostrando, con folta documentazione, che l’Hyperion era un centro di coordinamento dell’eversione internazionale, e al centro di traffici di armi tra l’OLP e le formazioni eversive europee, tra cui le Brigate Rosse.
A quali conclusioni siete giunti?
Oltre l’Hyperion vi era un livello superiore. Probabilmente, questa era una stanza di compensazione fra servizi, dove ognuno ha cercato di portare a casa qualcosa – stando alla regola “il nemico del mio nemico è mio amico” – e uniti dal comune interesse di destabilizzare l’Italia per interessi economici, di approvvigionamento energetico, antichi rancori e necessità di supremazia nel dialogo col mondo arabo. Abbiamo trovato conferma dell’esistenza di una “cellula” legata all’Eliseo e al potere politico, che ha cercato di prendere il sopravvento subito dopo la cattura di Moretti, tramite il brigatista Senzani. Di questa cellula abbiamo documentato l’esistenza. Al di là delle intenzioni dei “rivoluzionari convinti”, sono esistite manovre legate ai principali servizi, che fanno intravedere tutte le ambiguità del terrorismo. Ambiguità che possono riproporsi anche oggi.
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