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Attualità

LA POLITICA SPECCHIO DELLA SOCIETÀ

CAMILLO MASSIMO FIORI - 03/11/2012

Per non essere travolti dalla sfiducia e dalla rabbia degli elettori, destra e sinistra ricorrono a metodi di consultazione elettorale che non hanno precedenti nelle società democratiche europee: le primarie per scegliere i candidati alle elezioni.

Dopo quasi vent’anni di nuovi inizi, di repliche, affidati sempre agli stessi personaggi, i due principali partiti politici italiani hanno deciso di presentarsi alle prossime consultazioni con due leader diversi, legittimati preliminarmente dai cittadini.

Il problema è che negli ultimi vent’anni in Italia non è cresciuta una nuova classe dirigente che presuppone vi siano dei partiti democratici che facciano cultura, favoriscano la partecipazione e il dibattito, abbiano delle regole democratiche che consentano delle scelte libere.

Nulla di tutto ciò esiste: i partiti sono diventati dei comitati elettorali al servizio del leader con élites cooptate che pur di durare preferiscono non scegliere.

I capi carismatici non sono persone dotate di doni e virtù naturali, percepiti come tali dalla gente, ma personaggi accreditati dalla televisione che è diventata il principale mezzo di comunicazione con la capacità di plasmare il comune sentire; la loro sovraesposizione mediatica fa sì che le platee televisive si indignino di più per la loro longevità che per il loro indecisionismo.

Il giovanilismo alla moda non si sottrae alla constatazione che l’incapacità o la disonestà non hanno età; peraltro nessuno dei politici emergenti è riuscito a mettere in campo un’idea convincente e avvincente di un’Italia moderna.

L’attuale situazione di immobilismo della politica è anche lo specchio del “familismo amorale” della società italiana descritto dallo studioso americano Edward C. Banfield che individua l’arretratezza del nostro Paese con il fatto che gli italiani perseguono i propri interessi a discapito di ogni forma di cooperazione. In assenza di un adeguato senso civico il familismo si autoalimenta: dato che tutti si limitano a badare ai propri interessi, la diffidenza diffusa e la mancanza di speranza per un miglioramento collettivo trovano un terreno fertile. Si tratta purtroppo di un tratto essenziale del carattere degli italiani ereditato da secoli di malgoverno e di miseria quando per sopravvivere si doveva diffidare di tutti e fare conto soltanto sulla propria famiglia.

Luigi Barzini jr., nel suo libro sugli italiani, scrive: “La legge, lo Stato e la società funzionano soltanto se sono bene accetti e non ostacolano direttamente i supremi interessi della famiglia. La famiglia non è soltanto il baluardo contro il disordine ma, al contempo, è una delle sue cause”. L’Italia è oggi percepita come una società dove allignano privilegi, clientelismo, corruzione con una diffusa violazione della legalità che trova tolleranza o accettazione nel profondo del nostro tessuto sociale.

Non tutti gli italiani sono disonesti e la famiglia resta sempre una cellula fondamentale della coesione sociale, ma c’è anche una patologia dell’individualismo e dal familismo che solo in parte trovano spiegazione nelle ragioni storiche della mancanza di esperienze di autogoverno e sono da ascrivere ai processi moderni di secolarizzazione che hanno contribuito ad ottundere il senso dei principi e dei valori.

La corruzione dilagante è l’esito della mancanza di una cultura della legalità e delle regole anche se è altrettanto vero che c’è un falso moralismo che generalizza l’affermazione “siamo tutti colpevoli” allo scopo di poter più facilmente annacquare le responsabilità individuali. Il discernimento responsabile può aiutare a individuare cause e situazioni senza fare di ogni erba un fascio.

Rimane la constatazione che dopo vent’anni dalla fine della prima Repubblica le cose non sono migliorate; anzi il “berlusconismo” al tramonto ci ha lasciato un mondo di disvalori, di orizzonti materialistici ed egoistici, di abitudini di consumo ostentato e volgare, di stereotipi che inquinano la politica e la cultura.

Silvio Berlusconi ha offerto il miraggio o l’alibi che il passaggio al mondo globale potesse essere eluso; le sue responsabilità sono gravi perché non ha riformato il Paese quando era possibile e meno doloroso. I suoi errori di arroganza e di mancanza di cultura politica però non sono stati sanzionati dai cittadini; è stata la crisi economica globale e la sfiducia dell’Europa a metterlo alle corde.

Il politologo Galli della Loggia fin dal 2001 sosteneva che “è stato un errore la diaspora dei democratici cristiani che ha condannato i cittadini cattolici all’irrilevanza in entrambi gli schieramenti”.

Di fronte al degrado etico e politico c’è chi si arrende all’ineluttabilità, “peggio di così non può andare” e si ritrae in disparte dalla politica, non si interessa e non vota.

Altri sono tentati di imboccare le scorciatoie del populismo, mettendosi nelle braccia di ciarlatani che vogliono demolire anche il buono che è stato realizzato in oltre sessant’anni di democrazia, cominciando dall’Europa unita che costituisce un argine e un supporto alle nostre insufficienze.

Devono andarsene i ladri e gli affaristi, ma il loro posto non può essere occupato dai presuntuosi e dagli incompetenti. Gli improvvisati “uomini della provvidenza” si rivolgono alla gente, suscitando emozioni come l’indignazione e la rabbia, ma la “gente” è una creatura mitologica che ha rimpiazzato il popolo e la cittadinanza, è un insieme atomizzato di individui che delega la propria sovranità, schivando le proprie responsabilità. È davvero in gioco una sana concezione della democrazia che ha in Italia fragili radici perché è stata conquistata soltanto dopo la seconda guerra mondiale, dopo enormi sacrifici da parte delle generazioni che ci hanno preceduto.

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