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Attualità

L’AVVENTURA DEL BEL SANTO STEFANO

GUIDO ZANZI - 12/11/2011

Tutto cominciò con  un luogo di culto di epoca paleocristiana (VI secolo), edificato lungo una delle vie principali che passava dalle parti dell’attuale Bizzozero. La storia continuò con un ampliamento nel VII – VIIII secolo, con l’ edificazione del campanile (IX secolo) e con una definitiva chiesa romanica (XI secolo), che all’epoca doveva essere molto frequentata. Successe poi che le vie cambiarono direzione, quella restò una chiesetta di campagna isolata, e quindi destinata a perdere rilevanza. Venne persino sconsacrata e non più ‘riabilitata’, nemmeno in epoca barocca quando molti luoghi di culto vennero rimessi a  nuovo.

Capitò poi (ma siamo già negli anni Sessanta dello scorso millennio) che sorse il quartiere Santo Stefano, e nuovamente si tornò ad ammirare la chiesa diroccata, ripudiata da secoli. Sorse a Bizzozero un centro culturale (grazie soprattutto a Pino Terziroli) e la parola d’obbligo fu: restauro al più presto del prezioso edificio romanico. Ma occorrevano molti quattrini e persone autorevoli che conducessero in porto l’impresa non certo agevole. Il personaggio fu trovato dall’apposito Comitato pro restauri, composto fra gli altri da Silvano Colombo, da Pino Terziroli e dal parroco don Antonetti: era l’architetto Bruno Ravasi, noto professionista varesino nonché ispettore onorario della Soprintendenza alle belle arti. Ravasi, uomo di grande carisma e competenza, personaggio che quando credeva nel progetto dava anima e corpo, si appassionò, sposò la causa e l’avventura partì. Era il 1970, seguirono cinque anni di intensi lavori, per restaurare l’edificio ma anche per organizzare raccolte fondi nelle più svariate modalità.

Bruno Ravasi guidò un restauro a regola d’arte, impedì la completa distruzione e valorizzò fra l’altro i preziosi affreschi di Galdino da Varese (XV secolo). Il 28 giugno del 1975 venne inaugurata la chiesa rimessa a nuovo. Restava ancora il campanile da restaurare. Ravasi morì prematuramente nel 1978 e toccò a me, suo nipote, già al fianco di mio zio nei lavori degli anni Settanta, completare l’opera nel 1980. Da allora il Santo Stefano, utilizzato dalla parrocchia per la Santa Messa domenicale, meta di visite non molto frequenti, non è stato più toccato.

Inutile dire che, a trent’anni di distanza, qualcosa andrebbe fatta, e lo scorso anno proprio Pino Terziroli si è fatto promotore di un incontro, per sollecitare il completamento di alcuni lavori e per dare il via alle pratiche al fine di dedicare la piazzetta antistante la chiesa a Bruno Ravasi. Ho accolto ben volentieri la proposta di Luisa Oprandi e della neonata Associazione Floreat, che sabato scorso mi ha dato la possibilità di illustrare la storia e i restauri al Santo Stefano. Ricordo molto bene quando, negli anni Settanta, pur fra mille difficoltà, la città mostrava sensibilità culturale verso iniziative di questo tipo, personaggi di indubbio valore (Bruno Ravasi, Silvano Colombo) si resero disponibili e generosamente si buttarono in quell’impresa. Negli ultimi anni mi pare che la molla scatti solo di fronte a iniziative con tornaconti economici o riscontri politici; mi sbaglierò, ma ho l’impressione che la bella avventura del Santo Stefano di Bizzozero ben difficilmente potrebbe ripetersi oggi.

Nella foto: la chiesa di Santo Stefano

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