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Ambiente

BLITZ NEL PARCO E CARTA DEI GIARDINI STORICI

DANIELE ZANZI - 26/10/2012

La Carta dei Giardini storici, detta Carta di Firenze, fu redatta il 21 maggio 1981 a opera del Comitato internazionale per la tutela dei siti storici presieduto da Pietro Porcinai e da altri illustri cattedratici e professionisti del settore. Nei venticinque articoli di cui è costituita venivano definite le caratteristiche dei giardini storici, i criteri e le linee guida per la loro conservazione, manutenzione, restauro e ripristino.

Nella recente proposta di nuovo regolamento del verde pubblico e privato redatta e pubblicizzata urbi et orbi dall’assessore alla tutela ambientale dottor Stefano Clerici la si cita come “la stella cometa” della futura politica d’interventi pubblici sul verde cittadino.

Orbene, l’articolo 2 della suddetta Carta così recita: “…Il giardino storico è una composizione di architettura il cui materiale è principalmente vegetale, dunque vivente”. Primo riflessione che emerge: le architetture vegetali sono la parte rilevante e imprescindibile di un giardino; se no che giardino sarebbe?

L’articolo 4 definisce quali siano le composizioni architettoniche di un giardino storico e cioè: “La sua pianta (intesa come mappa nella sua interezza) e i differenti profili di terreno, le masse vegetali, le acque in movimento o stagnanti”; un giardino va dunque conservato e tutelato nell’integrità dei suoi confini, rispettandone la vegetazione, i percorsi esistenti e le acque, se presenti.

L’articolo 14 scende ancora più nel dettaglio ed è inequivocabile: “Il giardino storico dovrà essere conservato in un intorno ambientale appropriato. Ogni modificazione dell’ambiente fisico che possa essere dannosa per l’equilibrio ecologico deve essere proscritta. Queste misure riguardano anche l’insieme delle infrastrutture sia interne che esterne (canalizzazioni, sistema di irrigazione, strade, parcheggi ecc.)”.

Si enfatizza, quindi, ancora di più che il giardino storico, di fatto assunto alla dignità di monumento, non possa essere alterato in ogni sua parte e un eventuale restauro, o riqualificazione, non possa – come recita l’articolo 16 – “… Privilegiare un’epoca a spese di un’altra a meno che il degrado o il deperimento di alcune parti possano essere eccezionalmente l’occasione per un ripristino fondato su vestigia o su documenti irrecusabili”.

Una domanda sorge ora spontanea: ma la nostra Giunta, la scorsa settimana, nell’approvare il progetto di “riqualificazione” dello storico parco di Villa Mylius, sottoposto a vincolo ambientale, storico e architettonico come da DL 42/04, ha letto questa Carta cui dice di ispirarsi? Evidentemente no.

Il progetto approvato infatti prevede la realizzazione di un parcheggio a raso capace di ospitare sessantasette… autovetture. La nuova area che sarà adibita a posteggio ricade integralmente all’interno dei confini storici del parco ed è posizionata proprio a lato di via Veronesi. La “riqualificazione” inoltre ipotizza una moderna illuminazione a led dei sentieri, il posizionamento di nuovi giochi per bambini con l’ampliamento dell’area esistente – sicuramente già fuori luogo – e la piantagione di nuovi alberi. L’assessore Clerici, nel presentare il progetto, ha parlato della necessità di “riqualificazione” dell’area, di adattamento del parco alle nuove e mutate esigenze – da esteso e poco frequentato giardino privato a parco oggi aperto alla massa del pubblico – e di poter permettere anche ad anziani e disabili di raggiungere comodamente in auto l’area.

Per fare fronte alle mutate esigenze, si è dunque reso necessario predisporre un progetto “a basso impatto ambientale” – così è stato definito e in ciò si ammette già che un impatto vi sia – con un parcheggio “nascosto” da un pergolato di rampicanti vegetali. È evidente a qualsiasi persona dotata di buon senso che tale progetto apporterà delle modifiche sostanziali all’area.

Non è possibile” riqualificare” un parco portando all’interno automobili e conseguentemente traffico.

Se l’area destinata a tale uso è davvero, come asserisce la Giunta comunale, così marginale, trascurata e in abbandono – e non lo è –, allora perché invece non destinare soldi ed energie a rimetterla in sesto e in ordine e a riportarla al suo originale splendore ?

In realtà l’area ha una sua identità ben precisa e peculiare: un viale d’accesso di tigli, datati alla prima metà del XX secolo, un bel prato assolato delimitato da quinte di conifere di pregio. Tutto questo andrebbe a scomparire per fare posto a sessantasette autovetture, a un pergolato, alla piantagione di gelsi e altre essenze. Varrebbe la pena di chiedersi: ma che c’entra un pergolato in un giardino di fine Ottocento? L’articolo 12 della già menzionata Carta dei Giardini storici cita testualmente: “La scelta delle specie di alberi, di arbusti, di piante deve tener conto degli usi stabiliti e riconosciuti per le varie zone botaniche e culturali, in una volontà di mantenimento e ricerca delle specie originali”. Quindi un eventuale nuovo progetto o inserimento dovrebbe avere un rigore filologicamente corretto e congruo dal punto di vista botanico.

Tutti i giardini, e a maggior ragione quelli storici, non sono superfici in cui ci si può mettere di tutto e piantare qualsiasi cosa. Non sono un minestrone di verdure o un cacciucco alla livornese.

Un giardino storico, come Villa Mylius, Villa Augusta e gli altri di Varese, deve essere un esempio di garbo, rigore storico e bellezza. Un’oasi in cui chi lo frequenta può trovare pace, silenzio e armonia con la natura; non certo auto, gas di scarico e clacson. L’articolo 19 recita così: “Il giardino storico è un luogo tranquillo che favorisce il contatto, il silenzio e l’ascolto della natura. Questo approccio quotidiano deve essere in opposizione con l’uso eccezionale del giardino come luogo di feste che non possono snaturarlo o degradarlo“. Perfettamente calzante quest’ultima frase allo “spettacolo” che ogni anno ci tocca vedere agli Estensi con la manifestazione Agri- Varese…

Per ovvi motivi professionali, sono uso frequentare quotidianamente i nostri parchi e i nostri giardini. Vi passeggio, li osservo, vedo la gente che li vive. Villa Mylius è ben frequentata, non vi noto vandali, perdigiorno. La Giunta comunale sostiene che il realizzando parcheggio consentirà a tutti, anche alle fasce più svantaggiate che hanno difficoltà a raggiungerlo, di poter godere dello splendore del parco. Giusto, lo scopo è pienamente condivisibile: i parchi debbono essere vissuti e popolati, ma non certo a scapito della loro integrità. Fruire non significa snaturare. Con la realizzazione di sessantasette posti auto si ipotizza di consentire a un numero di varesini, compreso tra 67 e 300, di poter lasciare la propria auto nel parco. Un’assurdità, una potenzialità decisamente elevata rispetto alla necessità e alla realtà.

Ma non si può criticare senza fare proposte sensate e serie. Anch’io auspico che i parchi siano frequentati, che i nonni possano portare senza fatica i nipotini a Villa Mylius, che il parco possa e debba vivere. Ecco perché penso che ci si possa accontentare di ricavare posti auto all’esterno dello storico parco, lungo la via Veronesi, istituendo un senso unico con parcheggi gratuiti a tempo. Si ricaverebbe così spazio per oltre quaranta veicoli. Bastano e avanzano per le necessità dichiarate. Si darebbe così agio a tutti di poter frequentare il parco, senza alterarlo, sconvolgerlo e correre dei rischi inutili. Si risparmierebbero, altresì, e non è poco di questi tempi, tanti quattrini.

Facciamo prevalere il buon senso, senza inventarci ”riqualificazioni” che porterebbero allo snaturamento di un’area storica e vincolata e sarebbero un pessimo segnale culturale e l’ennesimo, sciagurato attacco al verde cittadino.

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