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Politica

ADDIO ALLA BANCA ETICA, NON ALLA CARITÀ

LUISA OPRANDI - 26/10/2012

Il contenimento della spesa pubblica e il rispetto del patto di stabilità imposto agli Enti Locali stanno penalizzando il mondo del no profit e della finanza etica. Negli ultimi anni infatti la legislazione nazionale ha progressivamente disincentivato i Comuni dall’attivare o mantenere forme di partecipazione societaria fino alla richiesta di dismissione dalle partecipazioni pubbliche, decretata all’art 4 del D.L. n. 95 di quest’anno. Nell’ultimo decennio, oltre trecento Comuni italiani avevano però scelto, tra le altre forme di partecipazione, anche di essere soci di Banca Etica, che opera a sostegno della cooperazione sociale ed internazionale, della cultura e della tutela ambientale e che promuove il risparmio che produce valore sociale e ambientale.

La normativa vigente li sta però obbligando a porsi nuovi obiettivi di finanza che, senza troppe vie di scampo, prevedono invece la dismissione delle partecipazioni societarie, tra cui appunto quelle relative a Banca Etica, un’esperienza finanziaria innovativa che, fondandosi sui principi di trasparenza, partecipazione, equità, efficienza e del credito come diritto umano per tutti, sostiene privati, famiglie, organizzazioni del terzo settore e il mondo della cooperazione sociale. Ora, il principio della revisione della spesa, se da un lato impone sobrietà, dall’altro va però ad intaccare la dimensione solidale che l’attenzione al bene comune richiederebbe invece alle amministrazioni locali, comunità di cittadini che, proprio nella solidarietà, potrebbero trovare risposte positive e propositive alla crisi economica e al disagio che questa porta inevitabilmente con sé.

Banca Etica nei primi sei mesi del 2012 ha infatti registrato un aumento di oltre il 9% del credito rispetto all’anno precedente, erogando un totale di cinquanta milioni di euro a famiglie e imprese sociali, finanziando tutto il settore del no profit, sostenendo il microcredito a persone e famiglie in difficoltà e all’imprenditoria rispettosa dei diritti umani e dell’ambiente, promuovendo il risparmio come occasione di investimento in interventi socialmente utili e costruttivi. È quindi logico che solo un aumento di capitale consentirebbe di potenziare interventi di così alto valore etico e in netta controtendenza rispetto alle logiche speculative del sistema finanziario. Ed è altrettanto evidente che il supporto economico venga garantito prioritariamente da chi abbia a cuore la costruzione di una società egualitaria, costruita attraverso gli strumenti della condivisione e della reciproca solidarietà. Quindi, non solo singoli cittadini convintamene impegnati nella costruzione del bene comune ma anche gli enti locali, le organizzazioni del terzo settore, le imprese sociali sono gli azionisti della finanza etica. Imporre ai Comuni la dismissione delle quote partecipative significa contribuire, al contrario, alla diminuzione del capitale di Banca Etica e quindi disincentivare la costruzione di un modello di finanza e di società capaci non solo di offrire sostegno a chi è in difficoltà ma anche di implementare una cultura sociale e ambientale positiva.

Il Comune di Varese ha deliberato la dismissione delle quote societarie, tra cui quelle di Banca Etica, nell’ultima seduta di consiglio: una decisione che ha comunque imposto una riflessione anche sul significato simbolico e sul sistema di valori che tale scelta va ad intaccare.

Una raccomandazione, proposta dal Partito Democratico e condivisa dalle forze politiche e dal primo cittadino, ha perciò indicato che la somma di circa undicimila euro, derivante dalla cessione delle quote di Banca Popolare Etica SCPA, possa essere reimpiegata in un fondo a favore del microcredito per le persone e le famiglie in difficoltà e a sostegno dell’accesso al credito per le piccole imprese del nostro territorio. Perché una comunità locale non può rinunciare ad essere una comunità per tutti.

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