E’ un nuovo 8 settembre. La stessa bruciante storia di settant’anni fa, di quel lontanissimo 1943. Allora, per salvare la pellaccia evitando di dare una mano ai primi fuochi della Resistenza che stava organizzandosi e che avrebbe avuto bisogno di menti, braccia e determinazione, decine di migliaia di giovani (ma anche qualche anziano) pensarono bene di varcare il Tresa o le boscaglie a ridosso del confine per toccare il Canton Ticino ed essere ospitati nei campi d’internamento elvetici allestiti da un’ospitale Confederazione sino alla fine della guerra. Quarantamila persone in tutto, un’emigrazione con i fiocchi.
Mille furono i fuggiaschi dalla città di Varese secondo il dato ufficiale rilevato presso l’Archivio Federale di Berna. Uomini delle classi fra il ’24 e il ’26 con doverose eccezioni. Fu battezzato ironicamente “il battaglione dell’orologio” che, allo scoccar dell’ora fatale, se ne andò in attesa di tempi migliori. Giovani di belle speranze e altrettanto buone famiglie. Non tutti così perché c’erano anche i poveracci, i pavidi, gli incerti sui destini della patria.
Ora che la baracca salta, anche per colpa loro, che c’è lo spread alto, che i negozi chiudono, che la disoccupazione tocca vette mai raggiunte, che la Caritas dà da mangiare anche all’ex ceto medio, chi ha denaro lascia il Bel Paese e trasmigra a Lugano, Locarno, Bellinzona, chiede la residenza dopo aver mostrato il portafogli, il vecchio conto in banca, acquista un immobile per spassarsela sino a quando la recessione non avrà finito di mordere. Poi si vedrà. Ci sarà tempo per pensarci.
La notizia, clamorosa, non solleva certo il morale e coglie diritto quello che osservava giorni fa un sacerdote di campagna, proprio quel tipo di parroco che, vivendo lungo la frontiera, ha conosciuto solitudine, fame e anche disperazione: “Ci manca il senso di appartenenza alla comunità”.
L’analisi è calzante e sconsolante nella sua ovvietà. Il buon parroco voleva dire che l’ultima semina ventennale, ma non solo, ha lasciato il segno.
Disinteresse per il bene del Paese, arricchimenti in prima persona, devastazione etica, malaffare, ruberie pubbliche e private, spettacolo ed effimero a ogni costo, senza dimenticare la restaurazione in atto nella Chiesa, immemore del messaggio conciliare.
Tutto facile alla faccia della sedicente legge anticorruzione che salva il falso in bilancio di “lor signori”, consente di costituire il necessario “fondo nero” per versare le tangenti, e fa il solletico alla corruzione, soprattutto “quella per induzione” con pene basse e prescrizioni brevi al punto che lo stesso Consiglio Superiore della Magistratura, solitamente così abbottonato, ha sentito il bisogno di esprimere le sue forti perplessità.
Dunque si va in Svizzera non per il cioccolato, il caffè o le sigarette. Si va per rimanerci. I varesini, i comaschi, i milanesi, secondo Gianluca Righetti, direttore dell’Immobiliare Fontana, fra le più note del Ticino, che investono nel mattone sono un fiume in piena. Non si riesce più a contenerli. Arrivano e vogliono due cose: o una casa di lusso “vista lago” per viverci entro breve tempo, o se non vogliono proprio viverci, un appartamento che metta al sicuro i loro risparmi. Osservazione: escluso che si possano esportare soldi per la bisogna, a meno di pagare tasse pesantissime, vuol dire che i nostri “fuggiaschi” i soldi li hanno già di là. Vecchia storia.
Righetti alla domanda quale categoria sia prevalente non ha dubbi. Il ricco che desidera la villa e vuole vivere da noi.
I prezzi? Molto più cari che in Italia ma chi se ne frega. 5/6 mila euro al metro quadro sino a toccare i 13 mila euro per le fasce lussuose. Le tasse? Alte ma nel lungo periodo sopportabili. Un varesino che ha dovuto pagare un Imu tre volte rispetto alla tassa del passato, quando ha sentito l’imposta luganese si è messo quasi a ridere.
Ci sono poi altre categorie formate da coloro che acquistano ed affittano, una forma di operazione nel mattone per avere un investimento sicuro sino a 600 mila euro anche se oggi il cambio con il franco svizzero non sia favorevole come nel passato e altri che puntano a costruire degli stabilimenti o dei capannoni industriali, soprattutto al di là del confine di Stato dopo il Gaggiolo. Le aree industriali sono molto appetite. Si chiude di qua e si va di là. Si risparmia e si guadagna. Non mancano certo regole da rispettare, alcune assai rigide, ma alla fine si trovano sempre le strade giuste.
Intanto si affossa l’Italia. I nostri “squali” hanno lo stomaco robusto. Protestano per l’Italia che sta perdendo la bussola ma non fanno niente per darle una mano. Torna la riflessione del parroco, sulla sensibilità collettiva, sul senso di appartenenza alla Nazione. Non ce l’abbiamo. Il destino é probabilmente segnato.
You must be logged in to post a comment Login