È quasi tempo di bilanci per una delle mostre più importanti ospitate a Varese negli ultimi anni. Chiude infatti il 27 ottobre Reflections, rassegna di opere del video artista americano Bill Viola, esposte a Villa Panza a partire dal 21 maggio
Come spesso accade per le iniziative del FAI l’evento ha avuto una risonanza nazionale forse maggiore di quella locale. Questa è infatti la prima mostra di Viola in Italia dopo la partecipazione alla Biennale di Venezia nel 2007 e la retrospettiva al Palazzo delle Esposizioni a Roma nell’anno successivo. Quanto basta quindi per attirare l’attenzione del pubblico più attento agli sviluppi dell’arte contemporanea e pronto a cogliere l’occasione per confrontarsi con l’opera di un artista dalla statura internazionale, ormai stabilmente affermato come uno dei pilastri della video art ma nello stesso tempo controverso per la durezza estrema di alcune sue scelte.
Anche per chi non è un appassionato di contemporaneo la mostra merita di essere vista, magari approfittando di questi ultimi giorni di apertura. Viola infatti dichiara apertamente che essere artista significa mettersi davanti alle esperienze umane universali: nascita, vita e morte. Anche solo questo, in un’epoca in cui troppa arte è puro gioco intellettuale o provocazione fine a se stessa, è un buon motivo per dedicargli un po’ del proprio tempo.
La dimensione temporale è infatti fondamentale in queste installazioni, che avvolgono il visitatore con immagini e suoni in continuo, quasi impercettibile mutamento. L’esempio più suggestivo è forse quello di The Darker Side of Dawn (2005), un video imponente in cui è riprodotto in tempo reale prima il sorgere e poi il calar del sole dietro un grande maestoso albero, messo in relazione e quasi in contrappunto con gli alberi del parco di Villa Panza.
È uno spettacolo a cui ognuno di noi, a ben vedere, potrebbe assistere ogni mattina ed ogni sera, se soltanto avesse il tempo e la pazienza di farlo, un miracolo quotidiano a cui non siamo più capaci di guardare. L’artista ci aiuta a farlo, quasi obbligandoci a stare davanti a questo frammento di realtà che si dispiega davanti ai nostri occhi combattendo l’impazienza e l’impulso ad alzarsi e procedere nel percorso espositivo (impulso a cui per la verità cedono molti visitatori, anche perché l’assistere allo svolgimento completo di tutti i video della mostra richiederebbe diverse ore). L’esperienza di distacco dall’affanno della vita di ogni giorno è comunque salutare, anche per chi non condivide le filosofie orientali che sono una componente fondamentale della formazione di Viola.
La sua spiritualità, come afferma nel sito personale dell’artista, attinge in maniera indifferenziata al Buddismo Zen, al Sufismo islamico e a un non meglio identificato misticismo cristiano in pieno accordo con la tendenza contemporanea a crearsi una religione fai-da–te scegliendo dalle varie tradizioni in maniera del tutto autonoma. Questo crea talora dei cortocircuiti spiazzanti, resi ancor più forti dalla maestria formale dell’artista che sa curare in modo magistrale l’equilibrio della composizione e l’armonia dei colori.
Si veda ad esempio Emergence ispirato alla Deposizione di Empoli di Masolino da Panicale, che rivisita il tema cristiano del Compianto sul corpo di Cristo. Due donne, la Madonna e la Maddalena, piangono davanti al sepolcro vuoto. Lentissimamente da questo emerge la figura del defunto suscitando lo stupore e la speranza delle due dolenti, che si affrettano a sostenerlo. Nell’iconografia cristiana sarebbe il momento della Resurrezione, ma per Viola da questa rinascita subito si torna alla morte, il corpo viene deposto a terra, ormai palesemente privo di vita.
Questa idea di un ciclo continuo di vita e morte, privo della speranza della vita eterna, è il vero fil rouge della mostra. Lo troviamo nelle Tre donne della prima sala, che attraversano un velo d’acqua – altro simbolo assai ricorrente – per passare da un mondo confuso di non-essere alla chiarezza e alla luce e al mondo dei viventi, per poi tornare indietro nella stessa indeterminatezza. Lo troviamo infine con violenza nell’ultima sala con il Nantes Triptych (1992), un’installazione che racchiude in sé i temi centrali della sua ricerca sin dai primi anni Settanta: la nascita, la morte, la trascendenza. La rappresentazione della morte è però affidata al filmato puntuale degli ultimi giorni di vita della madre dell’artista, con un’esibizione della sofferenza che non può che suscitare molte domande, anche su quanto sia giusto utilizzare senza alcun filtro una vicenda umana tragica all’interno di un’opera d’arte.
D’altra parte Viola stesso ha dichiarato in una recente intervista al Giornale dell’Arte: “Nel tempo, ho capito che sono le domande e non le risposte a generare la forza che ci conduce avanti”. Questo suo porre domande è la sua vera forza, e di questo non possiamo che ringraziarlo.
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