Dalla stampa veniamo a sapere che esiste la probabilità che alla recentissima crisi della Giunta regionale possa seguire anche una nuova tornata elettorale a livello amministrativo locale: tra i papabili candidati al ruolo di Governatore lombardo viene infatti ventilato, senza decise smentite, anche il nome del Sindaco di Varese.
Ottantamila cittadini potrebbero quindi essere chiamati al voto a poco più di un anno dalle ultime elezioni. Il pensiero corre inevitabilmente al poco lontano 2008 quando, in soli dieci mesi, ottocentomila cittadini della provincia si ritrovarono alle urne per ben due volte, nel momento in cui il neo rieletto Presidente Reguzzoni si candidò alle politiche. Il che significa da un lato imporre ogni volta uno sforzo economico rilevante al territorio, dall’altro sciogliere con estrema facilità il vincolo di fiducia che ogni candidato chiede agli elettori al momento del voto e che, una volta eletto, rinsalda con un pubblico programma di obiettivi, priorità e interventi da svolgere nell’arco del mandato. Soprattutto vuole dire interrompere il percorso progettuale e programmatico sulla collettività che viene messo in campo con la previsione di un suo sviluppo logico e consequenziale.
Sempre sulla stampa – e a queste sole informazioni faccio riferimento – leggiamo che il Sindaco varesino subordina la propria eventuale decisione a un laconico “se lo vorrà il partito”. La ragion di Stato, come chiamava il Machiavelli la capacità di mantenere il potere nella situazione politica degli stati regionali del Cinquecento, regge poco come motivazione, nel momento in cui l’interesse politico di parte prevale su quello generale.
Nessuno mette in discussione il fatto che alcuni amministratori possano essere ritenuti maggiormente indicati a ricoprire ruoli e funzioni pubbliche. E personalmente, visto che per scelta e stile non l’ho fatto nemmeno nello scontro elettorale con il mio diretto rivale alle scorse elezioni, non scivolo sul terreno del giudizio di merito. Ragiono però da cittadina che si domanda con quale metro vengano misurate l’attenzione al territorio, la valorizzazione della dimensione locale, la responsabilità verso le persone se una intera città deve eventualmente attendere di sapere cosa deciderà mai la Lega riguardo la candidatura di Fontana a Governatore della Lombardia. La capirei di più, in tutta onestà, se fosse una scelta personale dell’attuale Sindaco varesino che, riconoscendo necessaria o determinante la propria competenza amministrativa per la gestione della politica regionale, coraggiosamente affrontasse magari anche le critiche dentro il proprio partito di riferimento e trovasse le ragioni per dire ai cittadini che il suo posto è altrove e non qui o alla guida dell’ANCI. Invece quello che ci è dato da intuire è che la decisione sarebbe eventualmente non sua ma di partito, il che significa che un intero gruppo politico, consiliare e di amministratori leghisti potrebbe semmai essere concorde nel “rimangiarsi” il patto con gli elettori varesini (peraltro non solo padani, se stiamo ai numeri) che hanno voluto Fontana e la maggioranza di centrodestra alla guida della città.
È come dire che il parere di pochi, di una sola parte politica, si potrebbe ergere a detentore delle sorti di tutti. In fondo anche gli oppositori politici qualche mese fa, all’epoca delle “scope padane”, hanno presunto che certe logiche fossero intenzionalmente superate, in nome di un modo nuovo di pensare il governo della cosa pubblica che, tradotto in gergo nostrano, altro non è che la vita quotidiana e le prospettive future di una comunità. Invece ci risiamo e siamo qui a fare i conti con i discorsi di sempre, quelli che, demonizzati nella prima repubblica, si sono ripetuti nella seconda e tornano intatti nella terza. Benché un sano realismo, allo stato attuale delle cose, richiederebbe di sopire certa presunzione politica di parte. Se non altro perché Varese non ha ancora deciso quale volto darsi e quindi stenta a conformare le scelte attuali a un Piano di Governo del Territorio che ne definisca le direttrici di sviluppo sociale, ambientale, economico e culturale. Se non altro perché viviamo in una sorta di “lavori in corso” che hanno riportato nel programma elettorale dello scorso anno argomenti e progetti già presenti in quello precedente e mai attuati e, in alcuni casi, nemmeno iniziati. Se non altro perché questa città merita di sentirsi amata e rispettata non perché geograficamente sita all’estremo nord del Paese o al confine con la terra elvetica ma perché le forze politiche che la amministrano non la lasciano andare in balìa dei venti infausti di certa politica, che obbliga ai cambiamenti.
Se Varese andrà alle elezioni a breve, comunque, non sarà responsabilità solo di Fontana, ma di un’intera compagine politica di maggioranza di governo cittadino, sia quella che eventualmente si arrogherebbe la prerogativa di chiedergli di candidarsi altrove, sia quella che avrebbe la colpa di non averlo impedito: nessun sindaco va mai a casa per semplice iniziativa personale o sceglie tranquillamente in solitudine di abbandonare la nave. A meno che non si dimetta, contro la volontà di tutti coloro che lo sostengono. Se Varese andrà a breve alle elezioni non sarà quindi difficile per i cittadini leggere dietro questa scelta la sconfitta di una maggioranza che trova, nell’altrettanta evidente sconfitta delle elezioni regionali, una scorciatoia per tentare di non ammettere un fallimento.
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