Sono stati valutati in duemila i pacifisti che, manifestando davanti allo stabilimento Alenia Aermacchi di Venegono, hanno protestato per la vendita di trenta aerei a Israele, hanno chiesto l’abolizione di tutto ciò che si può collegare alla guerra e la riconversione a fini sociali delle “fabbriche della morte” della nostra provincia aggiungendo cioè l’ Agusta alla Aermacchi, senza trascurare la Nato di stanza a Solbiate Arno.
Li ho sempre rispettati i pacifisti, ho sempre amato la prospettiva di mettere dei fiori nei cannoni, ma penso che sia impossibile raggiungere determinati obiettivi evitando strettoie e difficili passaggi obbligati che per il loro superamento richiedono una sensibilità e una cultura diffuse e condivise. Se con un comunista primo ministro siamo andati a distruggere con i “Tornado” centri vitali dell’economia degli amici serbi, se ancora oggi le missioni di pace all’estero vedono morire tanti nostri ragazzi e vedono pure la tristezza del petto in fuori di rappresentanti del governo e tanta retorica ipocrita, allora il “tutto e subito” pacifista inevitabilmente si ripresenta come un sogno irrealizzabile.
La guerra, il sangue versato sono comparsi sulla terra poco dopo l’arrivo dell’uomo e dall’età della pietra è un continuo peggioramento. Ogni popolo è rimasto coinvolto, sia pure in misura diversa, in vicende belliche o di violenza. Potenti e invincibili per qualche secolo ai tempi di Roma, noi italiani siamo stati concausa della seconda guerra mondiale; raggiunta la democrazia, obblighi internazionali ci hanno costretto e ci costringono a un ruolo ingrato quando avremmo potuto chiedere e ottenere di collaborare rinunciando alle armi ed essere attivi solo là dove siamo imbattibili: nella solidarietà, nell’assistenza, in tutto quanto è protezione civile.
A livello internazionale godiamo della considerazione che hanno pazienti e obbedienti somarelli e quindi una volta di più non ci avrebbero ascoltati, sta di fatto che già al nostro interno, a livello di governo, c’è sempre stato desiderio di offrire collaborazione militare. Per contro abbiamo sempre avuto aiuto e tutela come è accaduto per i due marò, da mesi in balia del nazionalismo indiano.
Cambierà qualcosa? Oggi ci sono le premesse per una svolta politica nel Paese: chi non ama la guerra forse troverà le condizioni per unirsi, per un’azione comune tesa a chiedere e raggiungere in ambito nazionale realistici traguardi di cultura e di totale pratica di pace.
Forse si potrà iniziare un percorso nuovo, da affrontare con misura e senso pratico. E senza mai dimenticare che nel mondo, lo dice la storia, ci saranno sempre le contrapposizioni, connaturate all’uomo.
È un progetto di non facile realizzazione, visto che potenze e stati di ispirazione progressista anche quando la situazione internazionale era promettente non si sono mai concessi cortei e manifestazioni per chiedere la smilitarizzazione. Da noi democrazia vuole che ciò sia comunque possibile e rispettabile.
Nel Varesotto democraticamente accettabile, come opinione e aspirazione, è anche il progetto di riconversione delle strutture industriali aeronautiche. Per le implicazioni che esso oggi comporta diventa però fantascientifico se correlato a una crisi economica che durerà nel tempo e ha già pesanti conseguenze. Senza contare che si tratta di aziende statali che funzionano. Un record al quale pochi italiani vorrebbero rinunciare.
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