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Editoriale

QUELLE TENTAZIONI

GIANFRANCO FABI - 19/10/2012

Sono iniziate le grandi manovre. Si voterà sicuramente in aprile per il rinnovo del Parlamento e probabilmente al voto si aggiungerà quello per il rinnovo anticipato del Consiglio Regionale. E non è escluso che si torni a votare anche per il Comune di Varese se il sindaco Attilio Fontana decidesse di tornare in Regione, puntando magari ai piani alti del nuovo Palazzo Lombardia.

Ma se il calendario è in linea di massima definito tutt’altro che chiara è l’offerta politica che i cittadini-elettori si troveranno davanti. I partiti, tutti i partiti, sono attraversati da una profonda crisi di immagine e di identità e quindi anche di consensi come dimostra il fatto che non è stata mai così alta nei sondaggi la percentuale  di indecisi e di possibili astenuti. E altrettanto alti sono i potenziali votanti per i movimenti di protesta, come quello di Beppe Grillo, che raccolgono un comprensibile disagio e una significativa insoddisfazione che tuttavia è difficile vedere come potranno tradursi in alternative politiche.

Ci sono poi le tentazioni di “scendere in campo” per usare l’espressione di Silvio Berlusconi nel 1994. Tentazioni espresse e insieme smentite soprattutto dagli imprenditori. C’è quella di Luca di Montezemolo, che da anni sostiene il movimento “Italia futura”, ma che non ha ancora sciolto la riserva sul come e con chi questo movimento potrà o vorrà partecipare alle elezioni. C’è l’ultimo presidente di Confindustria, cioè Emma Marcegaglia, che ha promesso il suo impegno con l’UDC di Pierferdinando Casini, ma quest’ultimo non si è ancora troppo sbilanciato. C’è Flavio Briatore, diventato consulente ufficiale di Berlusconi, un uomo dotato sicuramente di grande capacità organizzativa, ma da cui non è finora trapelata nessuna particolare visione politica.

Bisogna dire che appaiono del tutto comprensibili sia le tentazioni di impegnarsi in politica, sia la prudenza (per non dire la preoccupazione) che sembra circondare queste scelte. La tentazione di impegnarsi deriva soprattutto dalla disarmante realtà di una classe politica costosa, inefficace ed inefficiente. Fino all’esperienza del Governo guidato da Mario Monti, i Governi che si sono succeduti in quella che viene chiamata la seconda repubblica, hanno brillato sia quelli di destra (che peraltro hanno governato più a lungo), sia quelli di sinistra, per l’incapacità di incidere sulla macchina dello Stato e quindi hanno governato senza frenare la corsa del debito, senza tagliare i costi della politica, senza offrire all’economia le certezze necessarie per far crescere consumi e investimenti.

Ma la tentazione di mettersi in gioco deve fare i conti con una comprensibile prudenza. La stessa esperienza di Berlusconi dimostra come sia del tutto illusorio pensare di gestire la politica e quindi l’interesse pubblico allo stesso modo con cui si gestisce un’azienda e quindi un interesse privato. Nel caso di Berlusconi il conflitto di interessi è stato un macigno che ha pesato su tutta l’attività politica fino al punto di bloccare per mesi l’attività del Parlamento per discutere provvedimenti sulla giustizia strettamente finalizzati a risolvere i problemi giudiziari del premier. Ma ammesso che gli imprenditori che vorrebbero scendere i politica abbiano dato prova di gestire bene le proprie aziende o le associazioni in cui si sono impegnati, resta il fatto che la politica deve percorrere un percorso che è l’esatto contrario di quello aziendale. Le imprese deve perseguire la propria competitività e attraverso la crescita contribuire al benessere collettivo, la politica deve partire dall’interesse collettivo e fare in modo che questo si traduca nelle migliori opportunità per ogni componente della società e quindi le persone, le famiglie, le imprese.

È  vero, nell’attività politica ci vuole anche una buona dose di capacità gestionali, di  soluzioni logistiche, di strategie operative, tutte cose che sembrano fare parte del bagaglio di un buon manager più che di un politico. Ma anche in questa prospettiva il rischio di ridurre la politica a una tecnicalità rischierebbe di far perdere la prospettiva di chi, come un politico, deve guardare con emozione e umanità ai bisogni delle persone e della società.

Le eccezioni sono sempre possibili e bisogna comunque fare tanto di cappello anche agli imprenditori che decidono di impegnarsi con sincerità e passione, e possibilmente senza conflitti di interesse, per il bene comune.

Ma tuttavia c’è un altro e decisivo elemento. Da una parte c’è un grande bisogno di imprenditori che gestiscano bene le proprie imprese facendole crescere e creando posti di lavoro. Dall’altra parte in questa fase l’Italia ha bisogno che ognuno faccia al meglio il proprio dovere, che ognuno svolga il proprio compito. Sarebbe ora di non vedere più giudici che fanno politica, sindacalisti che mettono i bastoni tra le ruote alle imprese, politici che pensano ai propri interessi, e, perché no?, anche giornalisti che continuano a fare prediche inutili.

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