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Società

COME RECLUTARE GLI INSEGNANTI MIGLIORI

ROMOLO VITELLI - 12/10/2012

«Test difficili» per molti degli 8.157 aspiranti camici bianchi che oggi hanno affrontato i quiz di medicina e odontoiatria. “Solo un concorrente su 8 ce la farà a superare le prove d’accesso a Medicina e Odontoiatria nelle università pubbliche”.

“I test impossibili per aspiranti professori: solo il 3% passa quelli di filosofia. “Domande assurde, ingannevoli, anche sbagliate”, dicono i candidati che in Rete documentano gli strafalcioni e sono pronti ai ricorsi”.

“Quiz degradanti, buoni per i cretini!” (Luciano Canfora); “Nozionismo di bassa lega; test avvilenti”, (Nuccio Ordine). Il ministero ammette “criticità”.

Dopo la prova dei test d’ammissione alle facoltà di Medicina: si è accesa una roventissima polemica. Un illustre primario, Giuseppe Remuzzi, autore di 800 pubblicazioni scientifiche, ha ammesso candidamente: “Se avessi sostenuto il quiz mi avrebbero bocciato con 15”.

 Né è andata meglio ai test del Tfa per accedere al corso per l’abilitazione all’insegnamento finiti anch’essi al centro delle polemiche per i numerosi errori nelle domande. Anche qui polemiche a non finire. “Abolire i quiz per i professori”. “Scuola, in rivolta 27 ‘decani’ della cultura umanistica: servono modalità di valutazione davvero consone alla professione di insegnante. Errori e strafalcioni”. Agli aspiranti insegnanti è stato chiesto di che cosa è morto Gandhi, che cosa è il taoismo, il titolo del primo disco dei Beatles, qual è il vero nome di Micky Mouse, se le balene sono dei mammiferi o pesci, se Batman è vivo o morto, quante stelline ci sono nella bandiera europea, qual è la più vasta isola del Mediterraneo e numerose altre amenità.

I test (finiti al centro delle polemiche per i numerosi svarioni, errori, incomprensioni tali da incidere sul risultato dell’esame per migliaia di partecipanti) erano stati elaborati dalle commissioni nominate il 5 agosto 2011, dal ministro Maria Stella Gelmini. Ogni anno si ripetono le lamentele per clamorosi errori, ma mai si era arrivati a tanto. I quiz proposti ai futuri insegnanti, per i rappresentanti delle Consulte universitarie e delle Società scientifiche delle aree umanistiche, sono un “insulto alla cultura”. Nella lettera inviata al Presidente Napolitano i professori, dopo aver denunciato “un generale depauperamento della nozione di cultura”, in primis “nella scelta dei quesiti: spesso ambigui, errati, catalogabili più come dati di enigmistica che come dimostrazioni di saperi”, rivendicano diverse modalità di valutazione davvero consone alla professione di insegnante”. Il ministro della Pubblica istruzione Francesco Profumo ha cercato di correre ai ripari, riunendo un’apposita commissione per la valutazione degli errori e studiare possibili rimedi.

Il ministro ha pubblicato poi in Rete (con enorme successo di pubblico) l’elenco dei 145 esperti, autori delle domande di preselezione per accedere al Tirocinio Formativo Attivo (Tfa), il corso annuale che permette di ottenere l’abilitazione per l’insegnamento nella scuola secondaria di primo e di secondo grado.

 Nell’economia del mio articolo non affronterò le modalità della selezione dei candidati alle varie facoltà universitarie, ma mi concentrerò sulle modalità più consone ad individuare i meccanismi di reclutamento e selezione del personale docente.

 Recentemente, dopo tredici anni, sulla Gazzetta Ufficiale del 25/09/2012 è stato pubblicato il bando del concorso ordinario per ricoprire quasi 12mila cattedre nelle scuole statali. Si pensa che vi parteciperanno circa 200 mila candidati. Il Ministro Profumo ha affermato che il concorso sarà riservato ai soli laureati già in possesso di abilitazione; non è chiaro però quale sarà il destino dei 190 mila precari, entreranno in una nuova graduatoria? Non si sa ancora nulla di certo.

Il concorso dovrebbe prevedere tre tipologie di prove: un test pre-selettivo, teso ad accertare le capacità logiche e di comprensione del testo insieme alle competenze informatiche e alla conoscenza di almeno una lingua straniera comunitaria; una prova scritta orientata a valutare la padronanza disciplinare dei candidati; una prova orale incentrata sulle competenze didattiche possedute e a sua volta comprensiva della simulazione di una lezione e di un colloquio di metodologia didattica. Sarà avviato secondo Profumo un “percorso che dovrebbe segnare una discontinuità con il passato e permettere l’inserimento di energie e forze nuove all’interno di una scuola che ha i docenti più anziani d’Europa”.

Premesso che questo concorso, sarebbe un’occasione sprecata se non riuscisse ad aprire un nuovo capitolo nei meccanismi di reclutamento della scuola italiana, è doveroso però porsi alcune domande: è sufficiente un concorso, e in modo particolare come questo bandito con le modalità delle tre prove annunciate per consentire a un neolaureato di diventare un docente capace di far crescere i suoi studenti? Quali caratteristiche pedagogico-didattiche dovrebbe avere la nuova professionalità docente per rispondere adeguatamente alle esigenze di una società multietnica, multiculturale e multimediale com’è quella italiana del Terzo Millennio.?

Credo che l’insegnante oggi per poter svolgere proficuamente il proprio compito dovrebbe non solo avere una buona conoscenza della o delle materie di insegnamento, ma possedere accanto alla conoscenza della materia, anche un’ottima competenza metodologica e didattica (con particolare attenzione alle tecnologie informatiche e multimediali) perché non basta conoscere una materia, ma bisogna saperla anche insegnare, tenendo altresì conto dei processi di apprendimento che caratterizzano le diverse fasi dell’età evolutiva dell’alunno. Ma il docente dovrà avere anche una buona capacità di relazionarsi con gli altri per poter controllare le “dinamiche” socio-affettive, che si manifestano quotidianamente a scuola.

In sostanza l’insegnante del Terzo Millennio dovrà possedere un tipo di professionalità in cui si integrano in modo organico: sapere, saper fare e saper interagire. Cioè quell’insieme di competenze disciplinari, di competenze didattiche complesse, di capacità relazionali e comunicative adeguate ad un’inedita società globalizzata, utili a fornirgli anche la capacità di gestire, nell’ottica della cooperazione con le famiglie, situazioni conflittuali, di forte complessità o di emergenza educativa.

Ma poiché non tutti possono svolgere la professione d’insegnante, bisognerebbe indicare come carattere distintivo del docente alcune doti che dovrebbero caratterizzare la persona-insegnante così che la motivazione all’insegnamento non debba essere vista soltanto come una prospettiva di lavoro ma soprattutto come una consapevole scelta di vita.

Mi rendo conto che non è facile definire rigorosi strumenti per selezionare le persone che saranno un domani buoni insegnanti, però bisognerebbe fare di tutto per capire se uno è fatto per questa professione, cioè se uno, come si dice, abbia o meno la “vocazione” o l’inclinazione” per essere insegnante.

Questa è una delle ragioni per le quali si discute molto di formazione iniziale. Spesso i filtri di ingresso non hanno funzionato – dice il sociologo Alessandro Cavalli – e nella scuola sono entrati insegnanti bravissimi, bravi, mediocri e anche una quota di insegnanti del tutto inadeguati al compito, capaci di produrre dei danni reali nelle motivazioni e nelle capacità di apprendimento dei loro allievi.

Scrive a tal proposito il filosofo U.Galimberti, ne “Il disagio scolastico”, il Segreto della domanda bisognerebbe anche che gli “insegnanti, prima di essere assunti nella scuola fossero sottoposti a un test di personalità per verificare innanzitutto che non abbiano gravi patologie e poi, in assenza di queste, che non abbiano rigidità caratteriali, sfondi marcatamente depressivi (dico questo perché da un’inchiesta condotta qualche anno fa da l’Espresso risulta che la categoria degli insegnanti è quella che fa maggior uso di psicofarmaci) che, oltre a conoscere la materia, abbiano buona capacità comunicative ed empatiche, perché tutti sappiamo che chiunque, e in modo particolare lo studente, non impegna la volontà all’infuori dell’interesse, che l’interesse non esiste al di fuori del legame emotivo, che il legame emotivo non si costituisce quando il rapporto tra insegnante e studente è un rapporto di reciproca diffidenza, quando non di assoluta incomprensione. Non ho mai capito perché se uno è alto un metro e cinquanta non può fare il corazziere, mentre un laureato senza alcuna delle qualità sopra elencate, e magari senza alcuna inclinazione all’educazione degli adolescenti, possa fare l’insegnante. Ma così è”.

Al di là delle buone intenzioni del Ministro, sembra però che il bando riproponga gli aspetti critici dei meccanismi di reclutamento del personale che hanno condizionato negativamente sinora le varie selezioni degli insegnanti. Quali sono queste criticità? Innanzitutto i tempi lunghissimi, e poi le tre tipologie di prove che sembrano ricalcare con qualche opportuna correzione e novità modalità non del tutto pertinenti a garantire adeguatamente la selezione dei vincitori in base alle effettive capacità didattiche.

Giovanni Cominelli, esperto di politiche scolastiche, critica l’approccio concorsuale del Ministro: “Questo modo di scegliere i futuri insegnanti non è efficace. Tutte queste innovazioni tecnologiche che aggiungono quiz, mantengono le prove scritte e aggiungono una lezione falsa e artificiosa è una ripetizione del solito schema accademico – cognitivo di selezione del personale docente”.

 “Negli altri paesi quelli che aspirano a diventare insegnanti si mettono alla prova dentro una scuola, dove fanno un tirocinio di lunghi mesi. È giusto che si verifichi la conoscenza delle materie mediante una prova scritta, ma dovrebbe bastare la laurea a certificarla. In ogni caso un quiz con domande iper-tecniche rischia di creare una selezione inadeguata. Infine, dalla simulazione di una lezione orale non si capisce l’abilità di una persona di stare davanti a una classe. La lezione frontale non è sufficiente a testare la capacità di trasmissione di un sapere. Io sono contrario a questo modo di reclutare, burocratico e accademico. Se va bene si verifica il possesso delle conoscenze, ma ciò non basta a creare bravi insegnanti”.

 Il prof Cominelli ritiene che la formazione dei bravi insegnati, debba iniziare dalla formazione universitaria: “Sei iscritto all’università, studi matematica, e decidi di voler insegnare. Dopo i primi tre anni ne inizi altri due di percorso matematico e pedagogico-didattico. A numero chiuso, onde evitare precari. In questo corso specialistico continui a studiare matematica, e allo stesso tempo si inizia un praticantato nelle scuole. Ed è il giudizio della scuola a determinare la qualità del tirocinante, che viene automaticamente abilitato al momento della laurea. Così, esci dall’università capace, abilitato e pronto a iniziare a lavorare. Dicendo “basta” a concorsoni e a precari”.

Che fare? Un concorso di per sé non potrà risolvere il problema della formazione e della selezione, che invece va demandato ad un ripensamento complessivo del ruolo della scuola pubblica e della ricerca scientifica, attribuendo una priorità all’istruzione scolastica, con corposi finanziamenti.

Nei paesi in testa ai rilevamenti PISA, come la Finlandia, la scuola e il sistema scolastico sono all’apice delle preoccupazioni dell’opinione pubblica. In Finlandia l’insegnamento è una professione rispettata e prestigiosa proprio perché la selezione è molto competitiva: solo il 16,5% dei 4.500 candidati insegnanti è ammesso; e l’addestramento è molto impegnativo. La procedura di selezione è talmente severa ed esigente che ogni docente è necessariamente ben preparato.

 Il prestigio della professione è molto elevato e in molti vogliono diventare insegnanti, anche se lo stipendio è sotto la media europea. Il ministero finlandese seleziona i migliori, formandoli per 5 anni. I docenti seguono corsi sistematici teorico-pratici, in modo che apprendano il compito più difficile di tutti: divertire i ragazzi, catturare la loro attenzioni e fare in modo che imparino.

 Il praticantato sul campo consiste in 60 ore di uditore affiancato a un insegnante, altre 60 di pratica guidata e infine un semestre in classe; sempre sotto sorveglianza. Poi il primo incarico di ruolo, conferito dal consiglio di una scuola, spesso la stessa nella quale il giovane ha fatto il praticantato, e per 3 anni il neo-insegnante incontrerà settimanalmente il suo tutor.

La classe politica, i dirigenti scolastici, i pedagogisti, i sindacalisti, i mass media, nell’Europa evoluta, dedicano un’ attenzione quotidiana ai problemi scolastici. In queste nazioni l’ istruzione è percepita come il traino del progresso e del benessere sociale ed economico, ed è garanzia di sicurezza sociale, di rispetto, è un sigillo della qualità della vita sociale.

L’esempio virtuoso degli altri Paesi dovrebbe spingerci a ripensare le nostre modalità di reclutamento attraverso forme meno accentrate e burocratiche, e questo dovrebbe quindi essere un obiettivo primario se si vuole riqualificare la professione dell’insegnante.

Forse non è ancora praticabile qui da noi la via di lasciare alle singole scuole, la possibilità di reclutare i propri insegnanti in funzione dei loro programmi educativi.

Accadrà in Italia qualcosa di simile? Riusciremo a riformare la scuola e ad avere bravi insegnanti ? Lo spero vivamente per il mio Paese e per le future generazioni.

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