Il 4 settembre 1964 viene proiettato alla Mostra del Cinema di Venezia Il Vangelo secondo Matteo, di Pier Paolo Pasolini, che si apre con la dedica “alla cara, lieta, familiare memoria di Giovanni XXIII”.
In una delle conversazioni con Jon Halliday nel 1968 (pubblicate da Guanda, nel 1992, con il titolo Pasolini su Pasolini) il poeta, parlando del Vangelo secondo Matteo, fece un’affermazione apparentemente sconcertante, ma purtroppo ragionevole, a proposito della genesi del film: “fare un film sul Vangelo sarebbe stato come un suggerimento rivolto agli italiani di leggere il Vangelo per la prima volta”.
È stata la sua personale esperienza. Esattamente cinquant’anni fa, Il 2 e 3 ottobre 1962 si trova ad Assisi, invitato da Pro Civitate Christiana a un dibattito sul suo film Accattone.
Sul tavolino della piccola stanza messa a sua disposizione, di ritorno dal dibattito, trova il Vangelo.
Legge Matteo, tutto di seguito, “come un romanzo”, dirà in un’intervista a Epoca nel luglio di due anni dopo.
O meglio: come una sceneggiatura. E infatti ne parla subito al produttore Alfredo Bini e inizia gli studi per la realizzazione del suo Vangelo, i cui dialoghi altro non saranno che il puro e semplice testo di Matteo.
La triste ignoranza del Vangelo accompagna l’uscita del film: il quotidiano del MSI Il Secolo d’Italia parlerà di “odio marxista” messo “sulla bocca di Cristo”.
L’ignoranza come cifra del fascismo si conferma nella vicenda di Enrique Irazoqi, il giovane studente spagnolo che impersonò, con straordinaria espressività, Gesù nel film.
Così ricorda l’incontro con Pasolini in un’intervista a Mariano Sigman: “ero l’unico del sindacato che parlasse italiano … sarei andato in Italia a contattare persone note che ci appoggiassero nella lotta contro il fascismo … a Roma conobbi un poeta … quest’uomo mi ascoltò fino a quando terminai di parlare e allora si alzò e mi disse che sarebbe andato in Spagna, ma che contemporaneamente avrei potuto fargli un favore”.
Era l’illuminazione del poeta su chi avrebbe potuto dare “il” volto.
Al ritorno in Spagna a Irazoqi fu sottoposto a restrizioni di polizia non genericamente perché oppositore del regime: ma perché aveva collaborato a un film “di propaganda marxista”.
Null’altro, invece, che le parole del Vangelo. Insieme all’ispirazione dei volti, dei luoghi (una Terra Santa arcaica ritrovata in Calabria, in Puglia, in Basilicata), della pittura (da Giotto a Piero della Francesca) della musica (da Bach al jazz), in un’opera destinata a ricevere il Grand Prix 1964 dell’Office Catholique International du Cinéma.
Ma la risposta più singolarmente ed emotivamente significativa arriva dai Padri conciliari.
Il produttore Alfredo Bini organizza per loro una proiezione del film.
Aveva avuto il permesso di utilizzare l’Auditorium di via della Conciliazione, ma, ricorda Bini “alle dieci di mattina tutti quei cardinali, bianchi, gialli, neri, con i loro berrettini e i mantelli rossi, si accalcarono davanti alla porta sbarrata su cui era ben visibile il cartello ‘lavori in corso’. Una bella idea di qualcuno, dettata da improvvise paure notturne. Ma in fretta e furia portammo i cardinali al cinema Ariston con trenta taxi che facevano la spola tra San Pietro e piazza Cavour”.
I cardinali si commuovono e scoppiano in un applauso quando vedono l’iniziale dedica a Papa Giovanni; un altro loro applauso convinto dura, per molti minuti, alla fine del film, seguito dal brusio intenso dei commenti.
In un dibattito pubblico, a Brescia, il 13 dicembre 1964, Pasolini, dirà – una luminosa isola di semplicità tra affermazioni complesse, a volte faticose, su cristianesimo e marxismo – che Giovanni XXIII aveva vissuto un’esperienza storica decisiva “nel suo esempio, nel suo presentarsi, nella sua fisicità, vorrei dire nel suo sorriso”.
Papa Giovanni era il pontefice “del sorriso” per il popolo che lo ha amato. Il Gesù di Pasolini non sorride se non ai “parvulos”, ai bambini e ai ragazzi.
Il regista del cinema di poesia ci offre l’idea che l’umanità e divinità di Cristo si possano manifestare, appunto, nell’esempio, nel presentarsi, nella fisicità. E che dunque si possano davvero vedere, ri-vedere, intra-vedere il Vangelo – l’annuncio – e il portatore dell’annuncio, nello straordinario frutto cinematografico di quella lettura ad Assisi.
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