In questo periodo, apprestandoci a vivere l’Anno della Fede appena inaugurato dal Sommo Pontefice Benedetto XVI, abbiamo sentito parlare spesso della “Porta della Fede” che ci introduce “Alla scoperta del Dio vicino”.
Queste immagini così ricche fanno risuonare in noi Romite Ambrosiane del Sacro Monte altre parole cariche di secoli, di tradizione e, per noi, di affetto. Sono le parole del Codice che narra la vita della nostra beata Caterina là dove si parla della sua opera per la costruzione della Chiesa e quindi, ai suo interno, di quella piccola porzione che siamo noi, sue figlie.
Si dice che per prima cosa ha posto nel fondamento, con gli apostoli e i profeti, la grande e primaria pietra della fede santissima e inviolata. Questa immagine ha per noi una evidenza concretissima perché in varie parti della nostra casa la roccia affiora visibile quale sostegno di mura e pavimenti, quale fondamento della nostra casa e della nostra comunità.
L’evidenza plastica dell’immagine però interroga la pertinenza della metafora e la stabilità della nostra fede. Quale ingegnere infatti farebbe i calcoli statici di un edificio sulla fiducia, sull’affidamento? La fede infatti è un abbandonarsi a… implica un’apertura, un rischio, un salto: elementi per certi versi opposti alla solidità delle fondamenta.
Ma se da costruire non è un edifico ma una comunità, come la Chiesa, una famiglia o anche una persona? Se al fondamento della vita non mettessimo il monolite autoreferenziale delle sicurezze e del sentire personale? E se la stabilità dei nostri progetti, l’inalterabilità della nostra salute, la presunta oggettività delle nostre verità non fossero la prima e grande cosa della nostra vita? E se noi stessi non fossimo il centro irremovibile del mondo?
Allora forse avremmo bisogno di fiducia per costruire la nostra vita; quella fiducia che abbiamo succhiato con il latte materno; quella fiducia che ci fa attendere e ricercare una verità, una bellezza, un senso alla vita, una felicità che non sono nostre ma che — sappiamo — ci sono date e ci attendono, ora magari velate, in ogni incontro, e poi in un Incontro; quella fiducia che ci fa scoprire la costruttività di camminare tra le diversità (e ogni vera comunità religiosa o parrocchiale sa bene quanta fiducia è necessaria). Quella fiducia che ci fa attendere e sperare anche dentro e oltre un male che non sappiamo combattere; quella fiducia che fa aprire alla vita ed è germe di fecondità e di accoglienza.
Forse però la grande e primaria pietra della fede di Caterina — e prima di lei degli Apostoli e dei profeti — ci domanda un’altra conversione, ci chiama a un’altra apertura del cuore, ad un altro salto, quello della fede, appunto.
È il salto sulla pietra che è Cristo (anche Lui reso stabile dal riceversi dal Padre ed affidabile dalla sua apertura agli uomini, dalla sua ricerca di noi, di me). Un salto che è lo spazio donato per incontrarlo e il tempo messo da parte per confidarsi con Lui, un salto che è lasciarsi provocare dalla sua Parola che ci invita su strade inaspettate, magari scoscese o controcorrente, ma rese praticabili e belle e vere per la Sua presenza.
Ed è il salto nella casa costruita sulla Pietra, il salto nella Chiesa; un salto fatto di ascolto e attenzione agli insegnamenti (proprio quest’anno siamo invitati tutti con insistenza a leggere e conoscere il Catechismo della Chiesa Cattolica e le verità della nostra fede). Un salto fatto di partecipazione attiva, di affidamento agli uomini ai quali il Signore ha affidato il compito di portare la sua presenza sacramentale e la sua Parola nel mondo e di condivisione di questa responsabilità in tutti gli ambiti della nostra vita.
Così, scegliendo con Caterina la Pietra grande e primaria della fede, costruiremo non solo la stabilità della nostra vita, ma quella casa che è nostra madre in cui accogliamo e ricerchiamo la vita sempre nuova dello spirito e infine quella eterna.
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