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Lettera da Roma

ANCHE I ROMANI SONO INDIGNATI

PAOLO CREMONESI - 05/10/2012

“er batman”

In ufficio, nei bar, sui mezzi pubblici si raccolgono caustici e arrabbiati commenti sugli ultimi sviluppi del LazioGate. E questa volta cogli anche un accento di esasperazione che negli anni scorsi mancava.

Certo non è che nel passato la Regione abbia brillato per rettitudine – dai trans di Piero Marrazzo alla spy story di Francesco Storace – ma quello che sta emergendo di fronte al silenzioso patto di spartizione tra i gruppi politici, secondo cui si assegnavano a ogni consigliere centomila euro l’anno cash, che raddoppiavano o triplicavano a seconda delle responsabilità, è come il brontolio del sottosuolo prima dell’eruttare di un vulcano.

Roma e il potere. Non è mai stato un rapporto conflittuale. Città solare, lontana dalle nebbie padane che isolano e incupiscono, l’Urbe si è sempre, per così dire, adattata al potente di turno (“Francia o Spagna purché se magna”, il motto che meglio di altri descrive la secolare attitudine al compromesso), sopportando anche qualche nefandezza in cambio di un tutto sommato quieto vivere: “Io so’ io e voi non siete un c…” sinterizza la maschera del marchese del Grillo di Alberto Sordi.

Solo questo spiega come la città sia passata tutto sommato indenne dal Regno pontificio a Napoleone, dallo stato sabaudo al fascismo. Carlo Emilio Gadda, ingegnere e per di più milanese, sfogava con Alberto Arbasino il suo desiderio di andarsene dalla capitale: “Se potessi, partirei subito, se avessi la forza, il denaro… Ah il romanesimo!”. Che è definizione più calzante del romanesco dei fratelli Vanzina, categoria dello spirito incurabile e definitiva.

Testimonianza del “romanesimo” gaddiano è il ricorso ai soprannomi per identificare il potente di turno. La Volpe, er Serpente, er Pinguino: il bestiario si allunga di esecutivo in esecutivo. C’era Luparetta (il superassessore capitolino all’edilizia ai tempi del sindaco Carraro), Er Pecora ( l’ex missino Teodoro Bontempo che dall’Abruzzo giunse a Roma in cerca di successo ma intanto dormiva per risparmiare nella sua 500) sino al mitico Squalo (invenzione di Gianpaolo Pansa che il diretto interessato tuttavia non disdegnò), autore, a fronte di una perquisizione domiciliare, della sciagurata affermazione: “Ma chi non tiene un milione in contanti a casa?”.

Altri tempi. Oggi “er Batman”, altro soprannome, occupa le pagine locali dei quotidiani accanto alle testimonianze spesso drammatiche di famiglie con disabili a cui la Regione taglia già i miseri contributi, di file dantesche per un esame medico (altro che modello sanità Lombardia! Perché i giornalisti non lo studiano?) di tagli alle corse del trasporto pubblico, di soldi per gli studenti che mancano. Chiunque abbia che fare con una ASL, se non passa attraverso amici, colleghi o altre strade privilegiate, si accorge che medici e infermieri tirano a campare anche loro alla meno peggio né più né meno dei pazienti che dovrebbero curare, alla faccia dell’assessore di turno.

La crisi morde, la rabbia cresce. I romani sono sempre meno disposti a concedere la categoria dell’impunità a faccendieri e a pessimi amministratori convinti di avere “svoltato” (come si dice qua) solo per essere stati eletti. Altro che politica come “forma alta della carità” per dirla con il cardinal Bagnasco.

Monoreddito con mogli e cinque figli a carico guardo sconsolato in busta paga i 187,07 euro che la Regione Lazio, avendo ovviamente applicato l’aliquota massima consentita, mi trattiene ogni mese, oltre alla metà dello stipendio che si prende lo Stato (altra frase sciagurata, questa volta del governo Amato che quando nel giugno 1990 introdusse l’iniziale autonomia impositiva locale, legge 142, ebbe a dire: “Naturalmente tutto ciò dovrà essere accompagnato da una riduzione del carico fiscale centrale…!”). E mi domando se andranno a contribuire al finanziamento di una polisportiva viterbese chiusa da due anni, a uno dei novecento consulenti per settantun consiglieri, a qualche scorpacciata in noti ristoranti del centro o all’organizzazione del convegno “Damose da fa’… semo romani”.

Povero Giovanni Paolo II: ti hanno messo pure messo in mezzo!

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