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Opinioni

UN GRANDE PATRIMONIO ALLA MALORA

FLAVIO VANETTI - 05/10/2012

Addormentato, suo malgrado, da ben quarantaquattro anni su quel costone della montagna varesina che negli anni della Belle Époque era frequentata dal jet set di tutto il mondo, il Grand Hotel Campo dei Fiori – come RMFonline ha ribadito di recente – è l’icona di un malvezzo italiano: la capacità di lasciare andare alla malora capolavori che, all’estero, sarebbero valorizzati e non sarebbero ridotti — come in questo caso — a ricettacoli di antenne radiotelevisive.

Chiuso definitivamente nel 1968, dieci anni dopo la dismissione della funicolare (altra fesseria di una Varese del dopoguerra incapace di tenere da conto i propri gioielli), il Grand Hotel da almeno tre decenni ha conosciuto una nuova destinazione d’uso: captare le onde di un etere sempre più intasato, dopo che nelle stagioni d’oro, lassù a oltre mille metri di quota e davanti a uno scenario impagabile (laghi, pianura e monti, a seconda di dove guarda), si soggiornava con il massimo dei confort. Ci sarà mai una fine allo scempio? Ci sarà mai qualcuno che convincerà l’attuale proprietà (la famiglia Castiglioni) a fare qualcosa, qualsiasi cosa, dal cedere quel ben di dio al trovare una formula che ne eviti la distruzione?

Serve un passo indietro, adesso. Un tuffo a ritroso nella storia di Varese e dei suoi magnifici anni d’inizio Novecento. La Società Grandi Alberghi di Milano nel 1908 chiese all’architetto Giuseppe Sommaruga di costruire un hotel sul Monte Tre Croci. Il maestro del liberty lo realizzò nel giro di due anni e nel 1911 accettò la commissione per un’opera analoga, in città sul colle Campigli (stiamo parlando del Palace, della stessa proprietà ma, a differenza del «fratello», aperto e funzionante). Al Campo dei Fiori, viste anche le caratteristiche della zona, il Sommaruga ricorse a soluzioni costruttive ingegnose, incluse le mine per scavare le zone più resistenti. L’albergo fu pensato come un enorme uccello appollaiato sulla roccia e questa maestosità non è stata scalfita dal tempo: anche da lontano il bianco dell’albergo e la sua sagoma si stagliano in modo inconfondibile, a fianco di due strutture complementari, vale a dire un ristorante a pianta circolare e la stazione d’arrivo della seconda linea della funicolare.

Superando due guerre mondiali e un grave incendio (nel 1947), l’albergo conobbe giorni gloriosi. Ma la chiusura delle funicolari (nel 1958) e l’incapacità di trovare soluzioni lungimiranti al passo con i tempi dettarono la sua fine. Eppure quando i proprietari originari (la famiglia Moneta), cedettero ai Castiglioni, si immaginò il rilancio. Non andò così: il Grand Hotel, qua e là vittima pure di saccheggi e di furti, rimane ancora oggi avvolto da un oblio rotto solo dal ronzare delle vergognose antenne che lo deturpano.

Il primo ramo della funicolare, che conduce al Sacro Monte, fu riaperto nel 2000; per il secondo, quello appunto del Campo dei Fiori, si attende invece un piano serio relativo al complesso architettonico: riaprire il Grande Hotel come albergo? O come centro benessere? O come casa da gioco? Oppure ancora, farne un museo del liberty? Se ne sono sentite di ogni. Però al momento l’unica novità concreta è la decisione del Comune di Varese di realizzare un parcheggio alla Prima Cappella, non lontano dalla stazione di valle della funicolare. È il trenino che potrà rianimare il gigante della montagna. Ma a patto che qualcuno nello stesso tempo abbia voglia, con un buon progetto, di mettere fine a questo scempio inaccettabile.

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