Il recente articolo di Sergio Redaelli apparso su RMFonline mi sollecita la presente riflessione.
Il Castello di Belforte è il ‘mio Castello’. Per affezione profonda. I miei avi Rossi sono stati, dagli anni ’30 del ‘600, i fattori dei Biumi proprietari, come risulta da un atto notarile dell’epoca.
Negli ultimi decenni del secolo scorso ho visitato, fotografato l’edificio ancora largamente agibile.
Alla fine degli anni ’90, un limitato finanziamento di Iper supermercati (duecento milioni di lire), consentiva l’avvio dei lavori di messa in sicurezza sulla base di un mio progetto esecutivo approvato dalla Soprintendenza ai Beni architettonici nel 1999 e dalla Giunta comunale nel 2001.
I lavori venivano avviati ma, esaurite le disponibilità finanziarie, sospesi dall’impresa.
Ho avuto un confronto abbastanza duro con l’allora sindaco Fumagalli che sollecitavo a tener conto del rapido progredire della rovina. Ma solo con un ulteriore finanziamento Iper, qualche anno dopo, venivano ripresi i lavori, con altra direzione tecnica, che consentivano il rifacimento della copertura dell’edificio del ‘600.
La rovina continua. Una storia si dissolve con il crollo di murature e solai di notevole pregio.
Con pericoli evidenti anche per chi transita sul viale Belforte.
Un luogo di vicende complesse, distinte dal borgo di Varese, punto di controllo secolare dei transiti nella valle dell’Olona, dove Federico Barbarossa il 4 ottobre 1164 emanava due decreti a favore dei fedeli ‘milites’ della Valcamonica e del marchese del Monferrato, che l’avevano raggiunto nel campo fortificato sulla vetta del colle in vista della valle, sta perdendo l’ultima testimonianza della sua storia.
Oggi ci domandiamo quale può essere il destino di quanto è rimasto.
Se vent’anni fa era pensabile un recupero parziale, ma consistente, degli edifici sopravvissuti alle demolizioni di privati avvenute negli anni ’60, oggi è necessario considerare, come è stato già proposto, le modalità di intervento necessarie per la conservazione dell’esistente.
Occorrerà reintegrare alcune murature portanti, consolidare o ricostruire i solai in legno, eseguire le coperture degli edifici rimasti scoperti. Realizzare un luogo visitabile dove conservare reperti e documentazione relativa alla storia di questi luoghi. C’è una bella sala ( o ci dovrebbe ancora essere) con un camino in pietra di Arzo. Segno di una bellezza perduta.
Credo che anche la collaborazione con l’Istituto Italiano dei Castelli e con il dottor Marco Tamborini, che lo rappresenta come delegato varesino, e con il FAI, come qualche giorno fa ipotizzava il professor Cesare Cardani conversando con me, potrebbero favorire sensibilità rinnovate e nuove disponibilità finanziarie.
Occorre, con urgenza, un rinnovato impegno.
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