Come si misura la fede di un popolo? Calcolando le presenze in chiesa, il numero di particole distribuite, i chilometri di processione? Le montagne di biglietti custodi di invocazioni accorate, la superficie quadrata dei lumini accesi, o magari il numero di preti concelebranti?
La statuetta della Madonna Pellegrina di Fatima è stata con noi, in quel di Leggiuno, un’intera settimana, ospite discreto e silenzioso, proprio come fu Maria di Nazareth in vita. E con il passare dei giorni la gente è arrivata sempre più numerosa, con una partecipazione all’eucaristia stile messa-di-mezzanotte, ovvero chiesa strapiena mezz’ora, tre quarti d’ora prima dell’inizio. Non parliamo della processione finale per le vie del paese, forse simile ai cortei religiosi dell’anteguerra.
Ma io suggerirei altre unità di misura. Il silenzio, ad esempio. Un silenzio spontaneo, desiderato, necessario, denso di parole mute: ci fossero poche persone o una folla straripante. E poi le lacrime, che hanno bagnato tanti occhi. Nulla di teatrale, ti accorgevi magari di un fazzoletto uscito in fretta dalla tasca o dalla borsa, ecco tutto. Le mani giunte e i ginocchi a terra: silenziosamente, modestamente, senza far caso a chi ti guardava, ma tanto gli occhi erano tutti per la Vergine.
Il desiderio di andare a trovare al Madonna, come se fosse uno di famiglia, che ti faceva passare e ripassare in chiesa prima della spesa, e dopo la farmacia, e subito dopo cena. In tanti ci siamo riconosciuti con questo “strano” richiamo dentro.
Tante confessioni, queste sì da contare. Ma i cuori toccati e cambiati hanno un lungo cammino da percorrere, non per tutti il traguardo è così immediato.
Mi sono chiesta: ma tutto questo solo per una statua, un’immagine, un pezzo di terracotta dipinta? Che la gente non smetteva di toccare, accarezzare, nemmeno fosse una sacra reliquia. Mi ha risposto don Walter, il parroco che ha ideato e preparato con grande cura questo evento come aiuto alla sua comunità per entrare nell’Anno della Fede: “Anche questo è nella logica dell’Incarnazione. La nostra, potrei dire con un’immagine forte, è la religione del corpo. Prendete e mangiate, questo è il mio corpo e questo è il mio sangue, dice Gesù. Oppure fa del fango sputando sulla polvere e lo spalma sugli occhi del cieco. E Giovani scrive: Quello che abbiamo veduto e le nostre mani hanno toccato… La statuetta, fatta di terra, è segno concreto di una presenza che c’è realmente ma non è attingibile ai sensi: e noi oggi abbiamo così tanto bisogno di segni”.
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